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Estero
Sparare ai naufraghi è un crimine, dall'eroismo di Todaro al processo a Eck
Oggi 02-12-25, 15:21
AGI - La polemica che divampa in queste ore – anche al Congresso degli Stati Uniti – sulla decisione dell'ammiraglio Frank Bradley di sparare sui superstiti di un raid su un battello di presunti narcos, non è un esercizio astratto. La storia del Novecento ha fissato nero su bianco in sentenze che ancora oggi fanno giurisprudenza che sparare ai naufraghi dopo aver affondato una nave non è solo un gesto disumano: è, a tutti gli effetti, un crimine di guerra. E il contrasto tra due episodi avvenuti in mare durante la Seconda Guerra Mondiale – la vicenda del capitano di corvetta tedesco Heinz-Wilhelm Eck e quella del comandante italiano Salvatore Todaro – mostra con chiarezza dove passa la linea tra condotta lecita in guerra e violazione del diritto internazionale umanitario. Il caso Eck e l'affondamento dell'SS Peleus Nella notte tra il 13 e il 14 marzo 1944 il sommergibile tedesco U-852, al comando di Heinz-Wilhelm Eck, intercettò e affondò nel Sud Atlantico il mercantile greco SS Peleus, al servizio dei britannici. Due siluri colpirono la nave, che affondò in pochi minuti lasciando in mare relitti, zattere e decine di superstiti. È a questo punto che la vicenda supera il limite: temendo che i naufraghi potessero essere soccorsi e testimoniare la presenza del suo U-Boot in zona, Eck ordinò di "ripulire" il campo dei relitti. Per circa cinque ore il sommergibile manovrò tra i rottami sparando con le mitragliere di bordo, armi leggere e lanciando granate in direzione delle zattere e degli uomini in mare. Solo quattro membri dell'equipaggio del Peleus sopravvissero a giorni di deriva e riuscirono a raccontare quanto accaduto. Catturato qualche settimana dopo, l'equipaggio dell'U-852 fu interrogato e i documenti di bordo confermarono l'episodio. Il processo Eck: un precedente storico Nel 1945, ad Amburgo, un tribunale militare britannico processò Eck e altri quattro ufficiali e sottufficiali nel cosiddetto 'Processo Eck'. Erano accusati di crimine di guerra per aver ucciso membri dell'equipaggio di una nave affondata, in violazione delle "leggi e usi di guerra sul mare". La corte respinse la tesi della "necessità operativa" – l'argomento secondo cui eliminare i naufraghi sarebbe stato indispensabile per la sicurezza del sommergibile – e stabilì che attaccare deliberatamente i sopravvissuti di una nave affondata costituisce omicidio e crimine di guerra. Eck, il secondo ufficiale e il medico di bordo furono condannati a morte e giustiziati, altri due imputati furono condannati al carcere. Cosa dice il diritto internazionale Quella sentenza è diventata un caso di riferimento per il diritto internazionale: codifica in modo esplicito il principio – già radicato nelle consuetudini marittime e nelle convenzioni dell'Aia e di Londra – secondo cui i naufraghi sono persone fuori combattimento, che non possono essere attaccate. Già prima della Seconda Guerra Mondiale il diritto internazionale prevedeva che i naufraghi, come i feriti e i prigionieri, dovessero essere risparmiati e, quando possibile, soccorsi. È un'evoluzione di quella "legge del mare" che da secoli impone ai comandanti di prestare assistenza a chi sta per annegare, nemico compreso. Le norme successive – dalle Convenzioni di Ginevra del 1949 in poi – hanno consolidato questo principio, estendendolo a tutti i conflitti: attaccare persone che non partecipano più alle ostilità è vietato e, se compiuto in modo sistematico o grave, configura un crimine di guerra perseguibile dai tribunali nazionali o internazionali. Il 'Processo Eck' viene spesso citato proprio come precedente storico a supporto di questo divieto. La scelta di Todaro Quattro anni prima del dramma del Peleus, nell'ottobre 1940, un altro sommergibile, il 'Comandante Cappellini' della Regia Marina italiana, incrociava in Atlantico. Al comando c'era il capitano di corvetta Salvatore Todaro. Il battello italiano intercettò e affondò a cannonate il piroscafo belga Kabalo, che navigava a luci spente e armato, quindi considerato legittimo bersaglio bellico. Finita l'azione, Todaro si trovò davanti alla stessa scena che vedrà anni dopo Eck: relitti e uomini in mare, nel buio dell'oceano. Ma prese una decisione opposta. Ordinò di mettere in salvo i naufraghi: prima recuperò alcuni uomini che annaspavano in acqua, poi prese a rimorchio una zattera carica di superstiti. Quando il cavo cedette, fece salire tutti a bordo del sommergibile, che fu costretto per giorni a navigare in superficie, esponendosi al rischio di attacchi aerei e navali, pur di portarli verso un porto sicuro, nelle Azzorre, come imponeva il diritto marittimo. In tutto furono 26 i naufraghi belgi salvati dal Cappellini. Etica contro calcolo militare Al comandante del Kabalo, che gli faceva notare come un sommergibilista tedesco difficilmente avrebbe corso un rischio del genere, Todaro rispose – secondo la versione tramandata – che "noi italiani abbiamo duemila anni di civiltà" o, in altre testimonianze, il più asciutto "perché noi siamo italiani". Quella scelta gli attirò critiche da parte degli alleati tedeschi, che spingevano per una guerra sottomarina "senza testimoni". Ma gli valse, decenni dopo, il riconoscimento morale di chi vede in lui un comandante che, pur combattendo dalla parte dell'Asse, seppe anteporre la legge del mare e un'etica personale al calcolo militare. La storia successiva – con una parte dell'opinione pubblica che fa di Todaro un simbolo di "umanità in guerra", e con i manuali di diritto che citano il caso Peleus per definire il crimine di attacco ai naufraghi – mostra come quelle scelte individuali contribuiscano a disegnare, concretamente, il confine tra condotta lecita e crimine. Nel dibattito contemporaneo sui conflitti, spesso si tende a pensare che "in guerra tutto sia permesso". Le vicende di Eck e Todaro dimostrano il contrario. Non solo il diritto internazionale stabilisce limiti chiari – protezione dei civili, divieto di attaccare chi è fuori combattimento, obbligo di soccorrere naufraghi quando possibile – ma esistono esempi storici in cui quei limiti sono stati rispettati o violati, con conseguenze molto concrete: medaglie e memoria riconoscente da una parte; processi e condanne per crimini di guerra dall'altra.
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