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Estero
Dopo un anno, Trentini è ancora detenuto nelle carceri venezuelane
Oggi 12-11-25, 10:22
Il 15 novembre è un anno da quando il cooperante italiano Alberto Trentini è detenuto in Venezuela. E ancora non si sa il motivo. Un politico italiano che si è molto occupato del caso è Fabio Porta, deputato del Pd eletto dagli italiani all’estero in America Latina. “Negli ultimi mesi, finalmente, dopo oltre sette-otto mesi di letargo il governo ha iniziato a dare segni di preoccupazione e quindi di iniziativa. Soprattutto Palazzo Chigi: un po' meno, direi il ministero degli Esteri, a parte l'iniziativa lodevole, ma che purtroppo non ha avuto esito fortunato, della missione dell'inviato speciale Vignali. Parlo ovviamente di un'iniziativa politica che forse avrebbe avuto bisogno anche di un salto di qualità, in qualche maniera utilizzando alcune occasioni che ci sono state. Ad esempio, la Conferenza Italia-America Latina, o la canonizzazione dei due santi venezuelani. Potevano essere premesse di un possibile sbocco positivo di una vicenda che - come sappiamo - non essendoci un capo d'accusa chiaro e non essendoci nessun motivo di detenzione è ovviamente legata a questioni che esulano dalla situazione di Trentini, ma riguardano casi in sospeso - chiamiamoli così - tra l'amministrazione italiana e quella venezuelana. A un anno distanza, oltre a esprimere tutto il dolore e la solidarietà ai familiari per una situazione assurda che ci colpisce tutti, concludo solo dicendo che sembravamo vicini a una soluzione. Perlomeno, queste erano le informazioni, le avvisaglie, anche le percezioni di quelli che più hanno seguito in questi mesi questa vicenda”. Sembravamo, al passato? “Il timore è che l'insorgenza di questa ostilità militare degli Stati Uniti rispetto al Venezuela potrebbe modificare il quadro all'interno del quale fare questa trattativa per rilasciare i detenuti italiani, e in primo luogo Trentini. Ovviamente in un governo autoritario e centralista come quello venezuelano alla fine chi comanda e chi decide è una persona sola, o comunque uno strettissimo cerchio di persone. Quando queste persone devono confrontarsi con una minaccia di guerra, la soluzione si può ovviamente allontanare”. Come il regime venezuelano ha sequestrato Trentini ha però sequestrato un altro po' di stranieri, tra qui dieci cittadini statunitensi. In quel caso, effettivamente Trump per ottenerne la liberazione ha mandato il suo inviato Richard Grenell, che ha concesso in cambio la proroga alla permanenza della Chevron di cui Maduro aveva bisogno. Subito dopo, però, ha mandato le navi da guerra. Non è chiaro se per mascherare il cedimento al ricatto o per rappresaglia, ma comunque la cosa è montata in una escalation. “C’è stata sicuramente dal punto di vista politico una differenza tra il livello di interlocuzione dell’Italia e quello Stati Uniti, che hanno mandato un esponente di governo capace di decidere anche utilizzando in maniera spregiudicata la Chevron. Ciò è avvenuto un po’ prima della ostentazione dei muscoli. Se posso azzardare una mia teoria, questa schizofrenia della politica americana rispetto al Venezuela si potrebbe spiegare ipotizzando che l’accordo sulla Chevron e sui detenuti sia venuto proprio da Trump e dal suo entourage. Dietro le portaerei penso vi sia piuttosto la politica di Marco Rubio, che mi pare sia più aggressiva e più orientata anche a un possibile intervento militare. A differenza del Venezuela gli Stati Uniti non sono ancora una dittatura, quindi hanno un po' di dualismo o di dialettica interna. Ma il Trump che abbiamo visto nel primo mandato sembra più quello della trattativa”. Salvo che in questo momento sembra altalenare spesso. “Anche questo è vero”. Ma riusciamo ad avere un'idea di cosa può vuole dall'Italia Maduro? “Io credo che possa volere due cose. Una è una interlocuzione politica di livello. Un vice ministro o un sottosegretario, che è quello che hanno fatto altri grandi paesi, compresi gli Stati Uniti. Ciò non vuol dire un riconoscimento, ma non credo che Maduro sia così stupido da aspettarsi una cosa del genere. L’altra può essere più difficile da capire, ma potrebbe essere individuata in alcuni casi di cittadini venezuelani – almeno un paio - che per un motivo o per un altro sono incappati nella giustizia italiana. Poi è chiaro che sullo sfondo c'è anche una terza cosa: gli interessi economici, dall’Eni alle grandi società che avevano interessi in Venezuela. Ma questo lo ritengo un elemento in più”. Cittadina venezuelana e italiana, Mariela Magallanes è un deputato dell’Assemblea Nazionale venezuelana che è dovuta venire esule nel nostro paese, dopo essersi dovuta rifugiare nella nostra ambasciata a Caracas. Rappresentante dell'Assemblea Nazionale in Italia, è stata membro delle delegazioni dell’opposizione che hanno tentato col regime il negoziato per arrivare a quelle elezioni il cui risultato però poi Maduro non ha rispettato. “La mia solidarietà con la famiglia Trentini e soprattutto per la sua mamma che sta portando avanti la lotta per la liberazione di suo figlio. In galera senza imputazione, ma il suo è un caso in più tra tanti esempi di repressione in Venezuela. La sua detenzione rappresenta una ferita profonda per tutti noi che crediamo nella cooperazione umanitaria e nei diritti umani, e lui come operatore umanitario stava in missione in Venezuela. È un esempio chiave di quello che oggi stanno soffrendo altri quasi 1000 prigionieri politici, dovuti alla repressione che c’è stata dopo le elezioni rubate del 28 luglio 2024. Non solamente ci sono operatori umanitari come Trentini ma anche giornalisti, attivisti politici, esponenti della società civile, che vengono accusati senza prove concrete e spesso senza il dovuto processo”. Ma cosa vogliono da Trentini? Lui non è un oppositore. “Il caso Trentini fa vedere come agisce il sistema di giustizia del regime, come strumento per controllare il potere. La detenzione di questo operatore umanitario dimostra che il regime considera una minaccia qualsiasi voce indipendente o attività non controllata dallo stato. Dobbiamo ricordare che tutti gli operatori umanitari ancora attivi in Venezuela oggi sono sotto minaccia del regime. In tanti hanno dovuto scappare dal paese, perché vengono praticamente a decifrare la realtà non solo delle violazioni dei diritti umani dei prigionieri politici, ma anche della situazione umanitaria che vive in Venezuela”. C’è anche qualcosa con l’Italia? “L’Italia ha un governo che ha appoggiato la causa democratica del Venezuela e che non riconosce Nicolás Maduro, perché come gli altri paesi democratici occidentali sa che Maduro ha rubato le elezioni. A parte Trentini, ci sono anche altri prigionieri politici che sono italiani per cittadinanza. È una vendetta del regime anche per far vedere all'Italia cosa sono capaci di fare ai suoi cittadini, utilizzandoli come moneta di scambio. Ma il caso Trentini deve servire a parlare di tutte le violazioni dei diritti umani che ci sono in Venezuela. Ad esempio, che ci sono più di 80 prigionieri politici in stato di salute gravi in condizioni infraumane. È appena morta una prigioniera politica che aveva una malattia terminale, e che era stata arrestata solo per essersi occupata del controllo dei voti. È morta da sola senza ricevere nessun tipo di trattamento e violando la sua dignità umana”. E cosa può fare il governo italiano? “Deve insistere utilizzando i canali diplomatici, ma bisogna ricordare che non ci sono solo cittadini italiani detenuti in Venezuela, ma anche di altri paesi europei. Bisognerebbe dunque articolare questi sforzi a livello europeo”.
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