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La nuova tratta degli schiavi. Scafisti e trafficanti di uomini a caccia di clienti sui social
Oggi 07-12-25, 07:31
«Pronto, chi è?». La voce è bassa, l'inglese quello tipico dell'Asia del sud. «Devo arrivare in Italia in qualche modo», rispondiamo noi, restando coperti. «Chi sei tu? Dove hai preso il mio numero?», insiste l'uomo dall'altro capo del telefono, questa volta con un tono di voce più alto. «L'ho trovato su Facebook», gli diciamo, «nei commenti a un tuo video». «Quale video», ci chiede. Poi il silenzio. «Pronto?», incalziamo noi: la linea c'è, non è caduta, lui è ancora lì ma non parla. «Siamo in quattro. Possiamo partire dalla Libia». Ancora silenzio. Qualche secondo, e interrompe la chiamata. Proviamo a richiamare immediatamente, ma il telefono è già spento, irraggiungibile. Probabilmente qualcosa lo ha insospettito, e non è strano; perché l'uomo con cui abbiamo provato a parlare fingendoci migranti era uno scafista, o forse un «facilitatore», dipende dai viaggi e dalle richieste. Comunque qualcuno che lavora nell'enorme industria dell'immigrazione clandestina. A lui, peraltro, durante la nostra conversazione, abbiamo detto la verità, quel numero - un utenza italiana - era sul suo profilo social. Un account «aperto», sul quale l'uomo, che nelle info personali è geolocalizzato a Tripoli, promuove, vende e offre «servizi» dedicati a chi volesse entrare clandestinamente in Italia. Tutto alla luce del sole, tutto pubblico, a portata di click. Certo, bisogna sapere dove cercare. La sua hompage è letteralmente un enorme messaggio promozionale, fatto di video, foto, numeri di telefono, offerte varie. Perché oggi i social network sono la vetrina più efficace, redditizia e spendibile che ci sia; una vetrina in cui trafficanti, scafisti, facilitatori, basisti possono farsi conoscere. Il sistema è talmente efficiente che molti di questi account hanno decine di migliaia di followers (il nostro, per esempio, oltre 12mila) e ancor più like, commenti, reaction. Basta un telefono ed una connessione: dal primo approccio telefonico, di solito si passa poi alle app di messaggistica, attive su altre utenze dedicate che vengono però fornite solo dopo aver «superato» il colloquio preliminare e sulle quali vengono inviati dettagli vari del viaggio, tariffe incluse. Non a caso oggi sono lo strumento più utilizzato dai migranti per accaparrarsi un posto dietro lauto pagamento-e attraversare il Mediterraneo. A questo proposito, il profilo del nostro uomo è emblematico al massimo grado. Tra foto e post, tutto è documentato, perché per attirare un cliente il prodotto deve essere innanzitutto credibile. A cominciare dai mezzi: la traversata verso il nostro Paese - lo testimoniano le decine di tragici naufragi avvenuti negli ultimi anni a largo delle nostre coste - è rischiosa, così si mostra la mercanzia: foto delle imbarcazioni a disposizione del trafficante, ciascuna con un prezzo diverso a seconda della «qualità» del mezzo; foto dei motori delle barche, talvolta vecchi, talaltra nuovi fiammanti, con tanto di dettagli, cavalli e cilindrata; persino immagini delle rimesse nelle quali vengono custoditi, manutenuti e in certi casi costruiti i mezzi. L'intento è chiaro: rassicurare il migrante che ciò che viene venduto è affidabile, credibile e buono per quasi tutte le tasche. Per confermare la credibilità del «prodotto», vengono postate anche immagini scattate in mare aperto, con navi soccorso sullo sfondo pronte a caricare i migranti. Sulla bacheca ci sono anche dei video, ovviamente. Brevi riprese - come linguaggio social ormai esige - nelle quali si vuole dimostrare, ancora una volta, che il «servizio di viaggio» offerto è affidabile. E questi video sono quasi sempre accompagnati da frasi in sovrimpressione e captions varie, corredate, come è ormai usanza tra chi appartiene al mondo dell'immigrazione clandestina, da emoticon, utilizzate dai trafficanti come fosse un linguaggio cifrato noto solo a chi è conosce il codice. C'è un video, ad esempio, in cui viene mostrata una banchina con una piccola imbarcazione ormeggiata: dovrebbe essere il luogo di partenza di una traversata, che lo scafista mostra per rassicurare i potenziali acquirenti del viaggio. In sovrimpressione, la frase in arabo «rimani vicino al mare nei prossimi giorni, il tempo è perfetto» e quattro emoji che parlano chiaro: una mano «a borsa», tipica della nostra gestualità; la bandiera della Libia (punto di partenza); due onde, che rappresentano il mare; la bandiera italiana, ovvero l'approdo finale. In un altro video, in cui si vede invece un barchino in manutenzione, la scritta è quasi da televendita: «Per le persone che chiedono qualcosa di semplice e non costoso». Questo profilo è sono uno degli innumerevoli account di questo tipo presenti sul web, da Facebook a Tiktok. Che mostrano come ormai i social siano diventati un pull factor formidabile per l'immigrazione illegale. E anche che lo scafista «classico» è una figura superata, evolutasi in qualcosa di nuovo e di ancor più inquietante.
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