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Open Arms, ecco cosa c'è dietro il ricorso contro l'assoluzione di Salvini
Oggi 20-07-25, 07:39
Mancano tre giorni al voto in Senato che, quantomeno in prima lettura, potrebbe cambiare le regole di un settore essenziale per il corretto funzionamento dello Stato italiano. Un comparto, che, da almeno trent'anni, è al centro di una costante tensione tra mondo dei togati e universo politico. Martedì Palazzo Madama darà il via libera alla riforma della giustizia. Separazione delle carriere, nuovo doppio csm, sorteggio, corte disciplinare e fine delle correnti e dei giochi di potere. Un'autentica rivoluzione, osteggiata, sin dagli albori, dalla magistratura. E, manco a dirlo, dalla sinistra. Basti ricordare Elly Schlein («governo impegnato nella delegittimazione del potere giudiziario») e Giuseppe Conte («l'esecutivo vuole mettere la mordacchia alla magistratura, è scandaloso»). In questi ultimi mesi parte della magistratura ha cercato di fare sentire tutto il loro potere. Cercando di frapporsi in alcuni passaggi essenziali della legislatura, con pronunciamenti e atti mirati. Tre gli esempi più eclatanti di vicende solo in apparenza processuali. Il primo riguarda il tentativo di boicottare il progetto Albania. Dopo un tira e molla, a colpi di sentenze e di impugnazioni dei trasferimenti nei centri di Gjader, lungo sei mesi, lo scorso 29 maggio è giunto il pronunciamento della Cassazione. La Suprema Corte ha ulteriormente allungato i tempi, chiedendo lumi alla Corte Europea di Lussemburgo sulla decisione relativa ai ricorsi del Viminale contro le mancate convalide del trattenimento decise dalla Corte d'appello di Roma. Vi è poi la questione Open Arms, quella più esplicitamente contestatrice di una visione politica del Paese. Perché i togati negano l'idea stessa di difesa dei confini e la volontà di arginare le Ong. E così prima hanno mandato a processo Matteo Salvini, nel 2019 ministro degli Interni dell'esecutivo Conte I e poi, dopo aver nettamente perso in primo grado, hanno deciso di "saltare" l'appello e bussare alla porta della Cassazione, in un ricorso definito dai giuristi "per saltum". Una scelta che, da Giorgia Meloni («accanimento surreale») a Carlo Nordio («scelta inusuale su Salvini, niente impugnazione contro le assoluzioni, come in tutti i Paesi civili») ha sollevato un vespaio di polemiche. Alle quali ha scelto di rispondere il presidente dell'Associazione nazionale magistrati Cesare Parodi sul quotidiano La Stampa: «Il ricorso in Cassazione è possibile per ogni caso. I magistrati rispettano la Costituzione, il governo accetti le critiche». Dulcis in fundo, il caso Almasri, una vicenda sulla strada quale i toni della contesa hanno raggiunto vette altissime. Il magistrato Raffaele Piccirillo, sostituto procuratore generale in Cassazione e Capo di gabinetto del ministro M5s Alfonso Bonafede, ha elencato al quotidiano La Repubblica quelli che, a suo dire, sarebbero stati gli errori commessi da Nordio sulla gestione del militare libico. Parole che hanno portato ad un'immediata replica del Guardasigilli, durante un'intervista col direttore del nostro quotidiano. «Che un magistrato si permetta di censurare le cose che ho fatto, in qualsiasi Paese al mondo avrebbero chiamato gli infermieri. Potrebbe essere oggetto di valutazione». Apriti cielo. La sinistra, che da sempre considera una certa magistratura il proprio braccio armato, ha subito gridato allo scandalo. «Questo governo ha un problema serio con il dissenso - ha detto il deputato del Pd Debora Serracchiani - Nordio ha mentito al Parlamento. Se avesse un minimo di dignità, dovrebbe dimettersi». Una diatriba spenta sul nascere dal viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto: «Le opposizioni chiedono le dimissioni di qualche ministro un giorno sì e un giorno no. Un atteggiamento tanto ripetitivo da rasentare la puerilità». Accanto alle urla e alle invettive, anche parole di buon senso, come quelle pronunciate ieri dal procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo: «È essenziale il contributo alla difesa della democrazia dato da magistrati posti al riparo da condizionamenti politici».
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