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Quel Dna di Ignoto 1 non era "degradato": Stasi poteva si poteva "salvare"
Ieri 01-12-25, 08:43
Quel Dna sulle unghie di Chiara Poggi non è mai stato degradato e avrebbe potuto portare all'assassino già ai tempi della condanna di Alberto Stasi. È la scoperta della genetista Denise Albani, il perito del gip Daniela Garlaschelli per l'incidente probatorio arrivata alla conclusione che l'Ignoto 1 possiede il codice genetico contenuto nel cromosoma Y di Andrea Sempio. E che con la sua analisi demolisce la perizia del professor Francesco De Stefano, effettuata nell'Appello bis contro Stasi. Non solo. Il lavoro della Albani ha portato alla luce la grave imperizia commessa ai danni dell'allora fidanzato, perché ora è nero su bianco che quel Dna non era degradato, come invece sosteneva De Stefano negli atti che hanno pesato sulla condanna, visto che nessuna Corte avrebbe mai mandato in galera un imputato in un processo indiziario di fronte alla presenza del materiale genetico di un altro uomo nei reperti subungueali di Chiara. Le nuove indagini, infatti, certificano i passi falsi di De Stefano, che scoperto il profilo con un'analisi effettuata con 5 microlitri di soluzione fece una replica con un residuo inferiore a 2 e la confrontò con il Dna di Stasi, per poi bollare l'Ignoto 1 come degradato, quando la comparazione aveva escluso l'imputato. E ancora: l'interpretazione arbitraria di De Stefano ha pregiudicato la prima indagine del 2016 contro Sempio, visto che all'allora procuratore Mario Venditti, oggi accusato di essersi fatto corrompere per archiviare Sempio, confermò che quelle tracce genetiche erano inutilizzabili per qualsiasi confronto. «Sono troppo amareggiato dal fatto che ci sia chi continua ad aggredire il mio lavoro. I risultati su cui credo stiano lavorando, sono quelli che avevamo ottenuto noi a Genova nel 2014. Poi li hanno assemblati in maniera diversa, forse, li hanno valutati in maniera differente, certo», ha detto De Stefano alla trasmissione "Quarto Grado". In realtà la Albani, nell'attribuzione di quel Dna a Sempio, non ha fornito un'interpunzione diversa rispetto a una visione di un collega, ma ha scoperto che «purtroppo, non abbiano due sessioni analitiche, che siano state eseguite nelle medesime condizioni», ha detto nell'udienza del 26 settembre scorso, «perché una sappiamo essere stata eseguita con 5 microlitri e l'altra con un volume residuo». Motivo per il quale aveva chiarito che avrebbe proceduto con la lettura del dato singolo, escludendo le fantomatiche repliche. Uno scenario del tutto diverso da quanto aveva scritto nella sua perizia De Stefano e ripetuto sotto giuramento davanti alla Corte d'Appello l'8 ottobre 2014. «Quello che vede qui è il terzo dito della mano destra e questa è la prova con 5 microlitri, dopodiché è stata fatta un'altra prova, che era la famosa replica, che è questa che, come vede, non presenta nessun carattere leggibile», aveva detto nel controesame all'allora difensore di Stasi, Angelo Giarda. «Questa è di nuovo 5 microlitri bis, l'abbiamo chiamata, per dire che era la replica», precisava il perito. La storia della replica identica viene poi propinata il 27 gennaio 2017 nell'inchiesta lampo contro Sempio. «Ho provveduto a proporre e realizzare l'uso di una replica su 5 microlitri perché tale quantità equivaleva approssimativamente alla metà del materiale residuo«, dichiarava De Stefano a verbale. «Preciso che il residuo, contrassegnato con la lettera "R", era peraltro di quantità paragonabile alla ripetizione su 5 microlitri», sottolineava. Per poi dover ammettere, lo scorso settembre di fronte alla richiesta della Albani che aveva scoperto la verità, che aveva eluito la replica con meno di 2 microlitri. Motivo per il quale il risultato sul Dna non si era consolidato.
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