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Se ha ancora un senso date subito il Nobel per la Pace a Donald Trump
10-10-2025, 09:37
Se il Premio Nobel per la Pace avesse ancora un senso, dovrebbe andare a Donald Trump. Nessuno come il presidente degli Stati Uniti ha profuso sforzi concreti per arrivare all'accordo di pace siglato ieri in Egitto. Se dopo 733 giorni di guerra si è giunti a definire un percorso chiaro peril rilascio degli ostaggi israeliani (da 20 a 22 dei 48 ancora nelle mani di Hamas sarebbero vivi), è merito di Trump che, sin dal primo giorno del suo insediamento, aveva annunciato la volontà di fermare la guerra in Medioriente. L'accordo di cessate il fuoco, con l'assenso di Israele a un graduale ritiro delle truppe da Gaza e la disponibilità al rilascio di migliaia di detenuti palestinesi, è il frutto di un intenso lavoro diplomatico, con il ruolo fondamentale di Paesi come Qatar, Egitto, Turchia, e tuttavia l'attivatore di questo processo porta un nome soltanto, Donald Trump. Ha perseguito la pace con ostinazione, talvolta con il linguaggio «tough» cui ci ha abituato, con le minacce aperte ad Hamas («o la pace o vi scatenerò contro l'inferno»), con qualche rimbrotto verso l'amico Benjamin Netanyahu, inviando il fidato Steve Witkoff e il genero Jared Kushner nel palazzo delle trattative, immaginando un percorso a tappe perché non si torni al punto di partenza. Il piano di pace, che ha avuto da subito il sostegno della premier Giorgia Meloni, è uno straordinario risultato politico: per la prima volta, si tenta di costruire per i gazawi un futuro di prosperità e benessere, di democrazia e pace duratura. Il governatorato internazionale come step intermedio per cedere poi il potere a un'Autorità nazionale palestinese rivitalizzata e riformata; la necessità di coinvolgere sauditi ed emiratini in un grande piano di sviluppo immobiliare e infrastrutturale per il rilancio economico dell'area sono soltanto alcuni dei punti qualificanti del piano. L'auspicio nostro, comune alle famiglie degli ostaggi israeliani firmatari di un appello al comitato di Oslo, verrà probabilmente ignorato e Trump non otterrà l'agognato Nobel Prize, confermando così un sospetto: che anche l'assegnazione della più blasonata onorificenza internazionale in materia di pace è soggetta a bieche logiche di convenienza politica. Il Nobel per la pace, nel 2009, lo ottenne il primo presidente nero nella storia americana, Barack Obama, appena nove mesi dopo il suo insediamento, mentre le truppe americane combattevano in Afghanistan e i droni colpivano Pakistan e Yemen. Un Nobel sulla fiducia, anzi sulle buone intenzioni, poi fatalmente smentite dalle campagne militari in Libia e in Siria, con Obama alla Casa bianca. Non andò meglio all'ex vicepresidente di Bill Clinton, Al Gore, premiato nel 2007 per il suo impegno sul clima, salvo essere travolto dalle critiche per l'uso disinvolto del jet privato e per i suoi interessi finanziari nei fondi “green”. Il Nobel per la pace ad Al Gore serviva a mazzolare George W. Bush, riluttante a firmare il Protocollo di Kyoto. C'entra sempre la politica, pace permettendo.
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