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Tra intelligenza artificiale e welfare, come cambia il mestiere del manager
Oggi 02-12-25, 11:55
Prof. Tommaso Saso Docente di Organizzazione Aziendale presso Università degli Studi G. Marconi e Presidente di Manageritalia Lazio, Abruzzo, Molise, Sardegna e Umbria Negli ultimi anni il dibattito sul futuro del lavoro si sta concentrando, talvolta in modo parziale, su due elementi. Da un lato la comparsa dell'intelligenza artificiale, dall'altro la diffusione del lavoro ibrido, accelerato dalla scorsa pandemia. Entrambi i fenomeni vengono generalmente letti come fattori tecnici, quasi “strumentali”, ma in realtà si tratta di forze strutturali che stanno ridisegnando l'architettura stessa delle organizzazioni e il ruolo del management al loro interno. L'AI, nelle sue applicazioni più mature, non sostituisce più semplicemente alcune mansioni, ma tende a spostare in maniera drammatica il confine tra ciò che è codificabile, replicabile e ciò che rimane ancora affidato al giudizio umano. Allo stesso tempo il lavoro ibrido ha infranto definitivamente la coincidenza tra luogo di lavoro e organizzazione, aprendo scenari in cui troviamo team isolati, relazioni mediate dalla tecnologia e cicli decisionali accelerati, ormai diventati la norma. In questo contesto, parlare di “futuro del lavoro manageriale” significa interrogarsi su come preservare e rigenerare il capitale umano dirigente in un ambiente che definire ad alta turbolenza è un eufemismo. Nei modelli gerarchici tradizionali, il manager era collocato al vertice di una piramide basata sul controllo, sulla supervisione e sulle decisioni sequenziali. Oggi i sistemi di IA sono in grado di supportare o automatizzare analisi, previsioni e monitoraggio operativo, rendendo gran parte di queste attività non solo replicabili ma superabili in efficienza rendendo pertanto necessario ridefinire il valore aggiunto del management. Le recenti ricerche sui nuovi modelli organizzativi convergono su alcuni tratti distintivi del “manager 5.0”, dalla capacità di orchestrare competenze diversificate, a quella di interpretare i dati in chiave strategica, fino alla necessità di gestire gli effetti e l'impatto emotivo del cambiamento sui team e di operare in contesti non più rigidamente gerarchici ma reticolari. In altre parole, la figura del manager evolve da “capo” a progettista di contesti abilitanti, in cui persone e tecnologie co-producono i risultati aziendali. Questo spostamento richiede necessariamente un investimento di lungo periodo sulle capacità cognitive e relazionali dei manager. La seconda trasformazione riguarda la dimensione spazio‑temporale del lavoro, dove il consolidamento dei modelli ibridi, che combinano presenza fisica e lavoro da remoto, non può essere letto solo in termini di conciliazione vita‑lavoro, ma come un cambiamento profondo delle dinamiche di coordinamento e di appartenenza organizzativa. La flessibilità si deve accompagnare ad una adeguata infrastruttura di regole e tutele, altrimenti rischia di tradursi in precarietà organizzativa, con un sovraccarico informativo e una dilatazione incontrollata dei tempi di connessione. Da qui nasce l'esigenza, sempre più impellente, di affiancare alle innovazioni di processo una seria riflessione sulla “sostenibilità umana” delle organizzazioni, intesa come capacità di mantenere nel tempo il benessere psico‑fisico dei manager e dei team senza però sacrificare la capacità innovativa. Da questa prospettiva, il tema del welfare e delle politiche di supporto ai manager assume una valenza che va oltre il perimetro della mera tutela individuale, per diventare componente essenziale della resilienza organizzativa. I contratti collettivi di lavoro devono essere considerati come reali infrastrutture dell'innovazione. In questo quadro teorico può essere collocato ad esempio il recente rinnovo del contratto collettivo per i dirigenti del terziario da poco sottoscritto da Manageritalia. L'accordo introduce, oltre agli adeguamenti retributivi, un rafforzamento significativo del welfare contrattuale con il riconoscimento di un credito welfare annuo che viene reso strutturale. Contestualmente, vengono anche potenziati gli strumenti di previdenza complementare e introdotte misure innovative in tema di invecchiamento attivo, mentoring dei dirigenti senior e sostegno alla genitorialità. Da studioso delle organizzazioni, osservo che questo insieme di disposizioni si configura come una vera e propria “infrastruttura di adattamento” dove, da un lato il welfare contrattuale offre risorse dedicate a salute, formazione e gestione delle transizioni personali e dall'altro, le norme su invecchiamento attivo e ruoli di tutoraggio consentono di valorizzare l'esperienza manageriale invece di espellerla prematuramente dal sistema. Il contratto, in questo senso, non si limita a redistribuire risorse, ma contribuisce a ridisegnare la gestione del ciclo di vita professionale della dirigenza. Alla luce di quanto sopra, provo a formulare due possibili linee di sviluppo, volutamente provocatorie, per orientare le future scelte organizzative e regolatorie. La prima riguarda il cosiddetto l'algoritmo etico. Con l'aumento dell'uso di sistemi di IA nei processi di selezione, valutazione e sviluppo delle carriere, diventa centrale non solo la qualità tecnica degli algoritmi, ma la loro governabilità sociale. Una prospettiva di lungo periodo suggerisce l'introduzione, sul piano regolativo e contrattuale, di un diritto alla “spiegabilità” delle decisioni automatizzate che incidono sulla vita lavorativa dei lavoratori, nonché il riconoscimento di una responsabilità specifica del management nel presidio etico di tali strumenti. La seconda proposta è quella di prevedere un bilancio di sostenibilità “umana”. Accanto ai tradizionali indicatori economico‑finanziari e ai sempre più diffusi indicatori di sostenibilità ambientale e sociale, le organizzazioni potrebbero essere chiamate a rendicontare, in modo sistematico, la qualità delle proprie condizioni di lavoro, dai livelli di carico, ai fenomeni di burnout e agli investimenti in formazione continua e la tenuta delle carriere nel tempo. In quest'ottica, misure come il credito welfare strutturale e le tutele sociali introdotte dal rinnovo contrattuale dei dirigenti del terziario possono essere lette come primi tasselli di un modello in cui la capacità di innovare convive con la responsabilità di preservare nel lungo periodo il capitale umano manageriale. In conclusione, il futuro del lavoro manageriale non si gioca solo sull'adozione di nuove tecnologie o nuovi assetti di orario e luogo, ma sulla capacità di integrare questi cambiamenti in un disegno coerente di protezione ed evoluzione delle persone che ne sono protagoniste. Il recente sviluppo del welfare contrattuale per la dirigenza rappresenta, in questa prospettiva, un segnale incoraggiante nella direzione di un'innovazione organizzativa che non rinuncia alla propria dimensione umana.
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