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L'ammiraglio gioca alla guerra
Oggi 02-12-25, 05:52
Quando ieri mattina ho letto l’intervista al Financial Times di Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato militare della Nato, mi sono venute in mente le parole di Georges Clemenceau: «La guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai generali». Cavo Dragone viene dalla Marina, ma la frase del due volte primo ministro francese vale anche per lui. L’ammiraglio ha commesso tre errori, di metodo, di merito e di tempo, vediamoli. 1) Gli attacchi preventivi (anche e soprattutto quelli cyber, che sono parte della silenziosa e letale guerra ibrida) non si annunciano, si fanno, altrimenti si perde l’effetto sorpresa che è l’arma più letale in battaglia. Il risultato della pensata dell’ammiraglio è che da ieri la Russia sa che la Nato valuta di fare la mossa, che c’è un ragionamento (lo fa lui, Cavo Dragone) sulla dottrina del “primo strike” in ambiente cyber; 2) Non può essere un pur alto ufficiale della Nato a lanciare sul quotidiano più importante d’Europa ipotesi su un attacco preventivo alla Russia (che sia cyber non ne muta il peso, Mosca è una potenza nucleare con la quale formalmente non siamo in guerra), può farlo (e ci metto un “forse” davanti, vista la gravità dell’argomento) il segretario generale Mark Rutte, un politico navigato che non a caso finora si è mosso con prudenza, ma solo dopo aver sentito l’orientamento del Consiglio Nato dei ministri della Difesa e, soprattutto, i leader delle nazioni che fanno parte dell’Alleanza Atlantica; 3) Parlare di «attacco preventivo» della Nato mentre in queste ore sono in corso delicatissimi colloqui tra gli Stati Uniti, la Russia e l’Ucraina per apparecchiare almeno una tregua, è un grave errore che rimbalza sullo scenario politico. La prova è nel fatto che la Russia ne ha approfittato per incunearsi nella breccia, affermando che quelle dell’ammiraglio sono «dichiarazioni irresponsabili che dimostrano la volontà di escalation». Matteo Salvini ieri ha detto che «serve responsabilità, non provocazioni» e non si può dire che abbia torto, visto che l’Ucraina è piombata in una fase difficilissima, le inchieste sulla corruzione e le dimissioni di Andrii Yermak - il braccio destro di Volodymyr Zelensky indeboliscono la posizione di Kiev nel negoziato, e i giochi di guerra squadernati da Cavo Dragone non aiutano il popolo ucraino. Giorgia Meloni ha costruito la sua autorevolezza in politica estera con una scelta atlantista, occidentale, per la libertà, contro l’aggressione russa di una nazione sovrana. Lo ha fatto ricordando sempre che l’impegno dell’Italia ha un perimetro (l’Ucraina), un limite (la Costituzione) e uno scopo preciso (aprire il tavolo della pace). Un comandante militare che parla troppo non è la soluzione, diventa un problema. Dare a Mosca l’occasione di apparire di fronte all’opinione pubblica come una colomba - quando in realtà è il falco - è una stupidaggine strategica.
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