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Cronaca
Prove "solide" contro Rosa e Olindo. Perché la Cassazione non riapre il processo
Ieri 13-05-25, 18:16
AGI - Sono 53 le pagine con cui la quinta sezione della Corte di Cassazione - presieduta da Rosa Pezzullo con Elisabetta Maria Morosini come giudice a latere - ha motivato la mancata riapertura del processo sulla Strage di Erba nel quale sono stati condannati in via definitiva, nel 2006, Olindo Romano e Rosa Bazzi. Nel respingere il ricorso presentato dai difensori degli imputati la Suprema Corte sostiene che le prove acquisite - tra cui la "confessione dei due imputati, ancorché ritrattata", la "ammissione di colpa riportata in appunti manoscritti e in scritti diretti a terzi", la "deposizione dibattimentale dell'unico testimone oculare" e la "presenza di traccia ematica riconducibile a Valeria Cherubini sull'auto di Romano" - sono molto solide, rispetto a quelle portate dalle difese, "non solo per la forza espressa da ognuna delle principali prove acquisite in ragione della loro autonoma consistenza, ma anche per la presenza di innumerevoli e minuziosissimi elementi di riscontro". La Strage di Erba L'11 dicembre 2006, una tranquilla corte residenziale di Via Diaz fu teatro di una brutale aggressione che costò la vita a quattro persone: Raffaella Castagna, suo figlio di due anni Youssef Marzouk, la madre di Raffaella, Paola Galli, e la vicina di casa Valeria Cherubini. L'unico sopravvissuto, Mario Frigerio, marito di Valeria Cherubini, rimase gravemente ferito ma divenne un testimone chiave nel successivo iter processuale. Le indagini e la svolta Inizialmente, i sospetti si concentrarono su Azouz Marzouk, marito di Raffaella e padre del piccolo Youssef, che al momento della strage si trovava in Tunisia. Tuttavia, il suo alibi resse ai controlli degli inquirenti. Le indagini presero una piega decisiva quando l'attenzione si spostò sui coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, vicini di casa della famiglia Castagna, con cui erano noti pregressi e accesi dissidi condominiali. Il processo e le condanne L'8 gennaio 2007, Olindo Romano e Rosa Bazzi vennero fermati e, due giorni dopo, il 10 gennaio, confessarono di essere gli autori della strage. Le loro ammissioni, dettagliate e agghiaccianti, descrivevano un piano premeditato e una brutale esecuzione. Gli investigatori raccolsero anche altre prove, tra cui tracce di sangue di una delle vittime nell'auto dei Romano. Il 12 ottobre 2007, Olindo Romano e Rosa Bazzi furono rinviati a giudizio. Durante l'udienza preliminare del 10 ottobre, i coniugi ritrattarono le loro confessioni, sostenendo di essere stati costretti a confessare. Il processo di primo grado iniziò il 29 gennaio 2008 presso la Corte d'Assise di Como. Una testimonianza cruciale fu quella di Mario Frigerio, che riconobbe in Olindo Romano il suo aggressore. Il 26 novembre 2008, la Corte d'Assise di Como condannò entrambi i coniugi all'ergastolo, con l'aggiunta di tre anni di isolamento diurno. La sentenza fu confermata in Appello il 20 aprile 2010 e resa definitiva dalla Corte di Cassazione il 3 maggio 2011. Gli sviluppi successivi e il "no" alla revisione Nonostante la condanna definitiva, la difesa di Olindo Romano e Rosa Bazzi ha continuato negli anni a battersi per una revisione del processo, sollevando dubbi su presunte incongruenze investigative e nuove possibili interpretazioni delle prove. Nel settembre 2014, Mario Frigerio, il supertestimone, è deceduto. Recentemente, la vicenda processuale ha vissuto un nuovo capitolo. Tuttavia, il 25 marzo 2025, la Corte di Cassazione ha respinto definitivamente la richiesta di revisione del processo, confermando la condanna all'ergastolo per i coniugi Romano. I legali della coppia hanno annunciato di voler valutare un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU).
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