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Estero
Cento attivisti italiani attraversano l’Ucraina con il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta
Ieri 30-09-25, 19:58
Da un anno lavoriamo alla missione che parte oggi fino al 5 ottobre, siamo più di 110 attivisti da tutta Italia in cammino attraverso l’Ucraina, fino alla regione più esposta all’offensiva russa. Cosa ci unisce? Dalla mattina del 24 febbraio 2022 ci chiediamo la stessa cosa: che cosa accadrebbe se un milione di civili europei si riversassero sul confine orientale dell’Ucraina per dire, insieme, “Stop all’invasione russa. No a questa aggressione”? Il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta – MEAN – è nato da questa domanda semplice e radicale, condivisa in quelle ore in cui Kyiv resisteva all’occupazione. Telefonate, messaggi, riunioni lampo... Da allora è stato un fiume: 35 organizzazioni aderenti – tra cui Azione Cattolica, ANCI, MoVI, MASCI, AGESCI, Base Italia, Fondazione Gariwo, Piccoli Comuni del Welcome, Reti della Carità, Progetto Sud –; 13 missioni in cinque oblast (Leopoli, Kyiv, Chernihiv, Mykolaiv, Brovary); decine di incontri in tutta Italia; gemellaggi tra comuni ucraini e italiani dopo i Patti di Leopoli; il progetto di un Peace Village a Brovary; raccolte per l’emergenza inverno; oltre tremila adesioni consegnate al Parlamento europeo per l’istituzione dei Corpi Civili di Pace. 2 Sit-in davanti all’ambasciata russa a Roma. Eppure, la domanda brucia: “Per che cosa?”. La Federazione Russa continua a colpire i civili a uccidere e deportare oltre 20.000 bambini. Gli Stati Uniti oscillano. Il diritto internazionale e la Corte penale internazionale vacillano, a Gaza come in Ucraina. I focolai di guerra si moltiplicano, nelle regioni del Sahel (Burkina Faso, Mali, Niger) e del Corno d'Africa fino al Pakistan. L’Unione europea, oltre al sostegno militare discontinuo, tace sul piano civile e rischiamo di abituarci e a tollerare gli stermini. È la tentazione di Emmaus: tornare a casa, delusi, mentre migliaia di “Cristi” vengono crocifissi e il mondo pare fermo e in fiamme. È qui che nasce la nostra risposta, su invito del Nunzio Apostolico in Ucraina, mons. Visvaldas Kulbokas: organizzare un Giubileo della Speranza in Ucraina, con gli ucraini. Appelli e petizioni non bastano, invocare la pace e issare vessilli non costruisce la pace vera e giusta. È il tempo di andare, con i nostri corpi, accanto ai corpi esposti dei popoli oppressi. L’Europa che non attende si fa “in presenza”. Perché ancora in Ucraina e non a Gaza, in Congo o in Kashmir? Perché farsi prossimi è concreto: presenza, ascolto, cammino. E perché l’Ucraina difende il mondo da oltre 1.320 giorni, mentre il mondo si è rassegnato nel migliore dei casi ad un po’ di indignazione. Che cos’è, in fondo, la speranza? È un’energia che eccede i dati di realtà. La speranza non è una vaga previsione del domani ma è un’energia orientata al possibile che spinge ad agire nel presente. Nasce e deve rinascere tra le persone. È ciò per cui i migranti sfidano il Mediterraneo; ciò per cui gli ucraini resistono ogni giorno contro l’invasione imperialista russa(come la definì da subito Leone XIV); ciò che trattiene i palestinesi sulla loro terra nonostante la violenza. È la forza interiore della libertà — radice di verità e di pace. Non grida: persevera, toglie la maschera ai violenti, li vince sul terreno dell’umanità e riconosce ai popoli il diritto di resistere all’invasione. Il Giubileo della Speranza non promette certezze né soluzioni facili: vuole dare corpo a una speranza viva, significa manifestare un europeismo che rischia in proprio, che esce dalle comfort zone e si fa compagno di strada. A marzo siamo stati a Kharkiv per confrontarci con leader della società civile: direttori d’orchestra, docenti, artisti e sportivi, vescovi e scout. Ci hanno detto che un Giubileo condiviso, credenti e non credenti, europei e ucraini, sarebbe un dono enorme: un grido comune al mondo che la pace è possibile. “Anche se non fermasse Putin per un solo giorno, perché farlo?”. Perché c’è una forza segreta dell’umano che i violenti non comprendono: di fronte a essa restano nani della storia. Per questo siamo partiti, anche “solo” per dire che chi resiste a un’aggressione custodisce una dignità invincibile a cui vogliamo appartenere e che vogliamo condividere. Da quel mistero resteranno esclusi gli autocrati e tutti i signori della guerra: il tribunale degli uomini e delle donne – per non scomodare Dio – prima o poi li giudicherà. Marco Bentivogli Portavoce Mean
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