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                                                Estero
                            Come cambia la Turchia con il disarmo del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk)
                                
                                Oggi 04-11-25, 06:00                            
                                                            Ankara. Il Partito dei lavoratori del Kurdistan ha annunciato di aver iniziato a ritirare “tutte le sue forze” dalla Turchia. La dichiarazione è stata rilasciata nel nord dell’Iraq, domenica 26 ottobre, da Sabri Ok, membro dello staff dirigenziale del Pkk e membro del Consiglio esecutivo dell’Unione delle comunità del Kurdistan (Kck), organizzazione ombrello curda che raggruppa tutte le sigle del variegato movimento. Questo sviluppo rappresenta una svolta significativa perché segna la fine di una delle insurrezioni più lunghe del medio oriente durata quasi mezzo secolo. Fondato nel 1978 sotto la guida di Abdullah Ocalan, il Pkk ha iniziato a spostare il suo quartier generale in Iraq, sui monti Qandil, vicino al confine tra Iran e Turchia, dopo il colpo di stato militare del 1980. A partire dal 1984, ha iniziato a compiere attacchi armati su larga scala e atti terroristici che hanno visto cadere decine di migliaia di persone. Ma vediamo cosa significa il ritiro del Pkk dalla Turchia dopo il gesto simbolico dell’11 luglio scorso del rogo delle armi di alcuni capi guerriglieri dell’organizzazione armata come aveva richiesto di fare con uno appello storico il suo fondatore e leader carismatico Abdullah Ocalan, ergastolano nell’isola prigione di Imrali, che sta conducendo un negoziato per il disarmo e lo scioglimento del Pkk con i servizi segreti tramite la mediazione del partito filocurdo Dem. In realtà le milizie curde erano già inattive da tempo nel cosiddetto “triangolo del terrore”, lungo il confine sudorientale della Turchia con Siria, Iraq e Iran. Sconfitto militarmente, il Pkk sa di non avere alcuna possibilità di proseguire la lotta armata contro uno stato che impiega dal 2019, quotidianamente, droni e caccia F16 nella distruzione di bunker, depositi d’armi e nella caccia ai guerriglieri tra i monti Qandil. Stanchi, invecchiati e privi di sistemi d’arma adeguati, alle donne e agli uomini dell’organizzazione armata non restava che la consegna delle armi, salvare quel che resta della guerriglia tra le montagne, sperare nella liberazione di circa cinquantamila prigionieri curdi rinchiusi in centinaia di carceri del paese e proseguire la lotta per i loro diritti nella strada politica-parlamentare che sperano possa aprirsi. I colloqui tra Ocalan e il governo turco stavano attraversando una fase di stallo e per sbloccarla il Pkk sta adottando misure per rafforzare la fiducia. I leader curdi hanno dunque deciso di compiere un nuovo passo avanti, unilaterale, che possa rappresentare un'ancora di salvezza per il processo che definiscono di “pace e democrazia”, ma che il presidente Recep Tayyip Erdogan preferisce chiamare “Turchia senza terrorismo” per rassicurare l’opinione pubblica trasversalmente nazionalista presentando questa nuova “apertura curda” come un’operazione “securitaria” e dunque non cedevole verso un’organizzazione considerata terroristica che ha fatto scorrere sul terreno molto sangue turco. Al momento la generalità delle forze di opposizione e del movimento pro democrazia, compreso quello curdo esprime scetticismo sulla reale volontà del governo di intraprendere un percorso legislativo che garantisca i diritti fondamentali per la comunità, a partire dall’insegnamento della lingua curda nelle scuole. L’Alleanza popolare (Akp-Mhp) del presidente, sconfitta a livello nazionale nelle elezioni municipali del 2024, avrebbe in realtà progettato questo processo di pacificazione per alimentare due linee parallele e opposte per recuperare il consenso perduto, processo che si potrebbe definire con questa espressione: “pace con Qandil, guerra contro l’opposizione”. L’opposizione da colpire è quella rappresentata dal Partito repubblicano del popolo (Chp), con il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoğglu, il concorrente più insidioso per Erdogan nella corsa alle presidenziali, smantellare l’alleanza che i repubblicani hanno con il partito filocurdo Dem grazie alla quale l’Ak Parti del presidente ha perso il controllo di tutti i grandi centri urbani del paese e per la prima volta ha perso la posizione di primo partito della Turchia. Le Forze di difesa popolare (Hpg) e le milizie delle valorose e coraggiose donne dell’Yja-Star (le Unità di difesa delle donne libere) si stanno ritirando nelle “Zone di difesa di Medya” in nord Iraq, cioè tra le linee di Qandil, Zap, Metina, Avasin–Basya, Hakurk e Garê nella regione del Kurdistan iracheno, in linea con le decisioni del XII congresso dell’organizzazione armata, che aveva deciso lo scioglimento del partito. Le misure che il Pkk richiede includono l’amnistia per i combattenti che hanno abbandonato le armi e per quelli in prigione, tra questi il loro capo Ocalan. All’interno di questo processo il Pkk ha inoltre l’obiettivo di impedire che Ankara si accanisca contro le Forze democratiche siriane (Sdf) a guida curda in Siria. Ocalan avrebbe promesso a Erdogan il pieno sostegno curdo per la sua terza rielezione alla presidenza della Repubblica. Nel patto che il governo turco avrebbe con la leadership del Pkk vi sarebbe l’impegno a ripagare Erdogan della sua apertura assicurandogli i voti necessari in Parlamento per una riforma costituzionale che preveda l’abolizione del limite dei due mandati.
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