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Economia e Finanza
I veleni dell’ex Ilva travolgono la maggioranza del sindaco Bitetti, mentre Urso apre all'ingresso dello stato
12-12-2025, 05:11
A Taranto la crisi dell’ex Ilva manda in crisi anche la maggioranza che sostiene il sindaco Piero Bitetti. Mentre arrivano i primi dettagli sulle offerte vincolanti dei soggetti che hanno partecipato alla gara, una ritrovata unità d’intenti tra tutti i sindacati, il sindaco e il presidente uscente della regione Puglia ha portato alla firma di un documento condiviso. Si tratta di un verbale sottoscritto al termine del consiglio di fabbrica che si è tenuto mercoledì, con il quale il fronte pugliese chiede l’intervento della premier Giorgia Meloni e l’impegno a far partire tre forni elettrici e quattro impianti per produrre preridotto (Dri), il combustibile necessario per alimentare gli stessi forni e produrre acciaio green. Nel contenuto, il piano è quasi identico a quello per la decarbonizzazione proposto dal ministro Adolfo Urso questa estate e rigettato proprio dagli enti locali, contrari ad accogliere la nave rigassificatrice prevista dal piano. “Il gas può arrivare in tanti modi diversi”, dice oggi il presidente Michele Emiliano. La pensa diversamente Urso, che oggi era in Senato per l’audizione sul nuovo decreto legge che garantirà la continuità produttiva degli stabilimenti ex Ilva fino a marzo. In uno scenario con tre forni elettrici e quattro Dri, la via terrestre del Tap non basterebbe, ha ribadito il ministro: “I tre forni elettrici e impianti siderurgici hanno bisogno di 1,2 miliardi di metri cubi di gas. Se a questo fosse associato un Dri, ci sarebbe bisogno di 800 milioni di metri cubi di gas in più. Se fossero i Dri fossero quattro, sarebbero 3,2 miliardi di metri cubi di gas”, ha detto. Nel complesso, insomma, un polo siderurgico così assortito avrebbe bisogno di 4,4 miliardi di metri cubi di gas. Ma mentre per sindaco, presidente di regione e sindacati il problema dell’approvvigionamento energetico non si pone, almeno in questa fase, tra le forze politiche che sostengono Bitetti si sono insinuati malumori, così come tra i comitati cittadini e ambientalisti. I Verdi, che in giunta esprimono l’assessore all’Ambiente, parlano di decisione “non condivisa” e definiscono il testo “irricevibile”, perché riproporrebbe l’impianto già respinto in Consiglio il 13 ottobre. La contrarietà non riguarda solamente il fabbisogno energetico. “Non accetteremo compromessi al ribasso”, affermano il consigliere Antonio Lenti e l’assessora Fulvia Gravame, ribadendo la loro linea: chiusura dell’area a caldo e reimpiego dei lavoratori in altri settori. Nel Pd, il consigliere Luca Contrario parla di documento “autorevole quanto le letterine di Natale” e contesta il progetto dei forni elettrici: “Chi metterà gli 8 miliardi per realizzarli? Per una fabbrica ormai a fine corsa?”. Durissimo anche il M5s, che al ballottaggio nelle recenti amministrative ha fornito un appoggio esterno alla coalizione a sostegno di Bitetti. La consigliera Annagrazia Angolano definisce il testo “una parodia politico-amministrativa” e lo considera privo di “qualsiasi sostenibilità ambientale, sanitaria ed economica”. L’unità d’intenti, insomma, non è affatto condivisa in città. Sulla testa di Taranto, intanto, passano i piani industriali che entro oggi riceveranno i commissari straordinari. Alla scadenza fissata per mezzanotte sono attesi i due fondi americani che si sono fatti avanti per rilevare l’intero gruppo siderurgico, Flacks e Bedrock. In un’intervista a Bloomberg, rilasciata poche ore prima, Michael Flacks ha parlato di 8.500 lavoratori e una produzione di quattro milioni di tonnellate l’anno di acciaio, più cinque miliardi di investimenti per risanare l’ex Ilva. Nei piani di Flacks – che ha offerto un euro per acquistare tutti gli stabilimenti – lo stato manterrebbe una quota del 40 per cento che il fondo acquisterebbe in futuro per una cifra compresa tra 500 milioni e un miliardo di euro. D’altra parte, anche Urso oggi ha chiarito che l’ingresso di una partecipata pubblica nella compagine societaria è un’ipotesi “piuttosto realistica” se è l’acquirente privato a richiederla. Il ministro ha ipotizzato anche la via di una partecipazione pubblica attraverso gara, purché si tratti di una proposta migliorativa rispetto a quelle in campo, rassicurando così sindacati e amministrazioni locali, che da Genova a Taranto chiedono garanzie pubbliche al governo. Finora, per non far spegnere l’ex Ilva, il governo Meloni ha già impegnato 2 miliardi di euro tra prestiti, sussidi e iniezioni urgenti di liquidità.
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