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Economia e Finanza
La crisi idrica in Iran è una storia di gestione pessima e cattive alleanze
Oggi 31-12-25, 04:18
Tel Aviv. “Se non piove entro la fine di novembre, dovremo razionare l’acqua ed evacuare Teheran”, aveva dichiarato il presidente iraniano Masoud Pezeshkian lo scorso 6 novembre. Nonostante, con l’arrivo dell’inverno, siano ricominciate le precipitazioni, pur se scarse, l’Iran, anno dopo anno, sta esaurendo sempre più le proprie risorse idriche. “Se la Repubblica islamica è spesso sulle prime pagine dei quotidiani a causa del pericolo del suo programma nucleare, la minaccia più grave per il paese non sta tanto nelle sanzioni economiche, né nella frattura tra sunniti e sciiti: quanto nel fatto che l’Iran sta esaurendo, in modo irreparabile, i propri rifornimenti idrici”, ha commentato al Foglio Seth Siegel, uno dei più grandi esperti mondiali sulla questione dell’acqua, noto per le sue numerose pubblicazioni sul tema, tra cui il libro Troubled Water: What’s Wrong with What We Drink e Let There Be Water: Israel’s Solution for a Water-Starved World. Come spiega Siegel, generalmente i problemi idrici sono un indicatore di cattiva governance: “Le risorse sotterranee sono state sovrasfruttate oltre la capacità di ricarica naturale garantita dalle piogge e, continuando di questo passo, molte falde acquifere diventeranno presto inutilizzabili. Inoltre, l’agricoltura iraniana è tra le più inefficienti al mondo. La maggior parte dei paesi ancora non modernizzati utilizza circa il settanta per cento delle proprie risorse idriche per l’agricoltura: l’Iran ne utilizza oltre il novanta per cento e scarica, senza trattamento, oltre il sessanta per cento delle proprie acque fognarie, inquinando falde acquifere, fiumi e laghi. Per contrasto, Israele — suo nemico dichiarato — dispone del sistema di gestione delle risorse idriche più sofisticato al mondo, al punto di disporre di un’abbondanza tale di acqua da esportare frutta e verdura per miliardi di dollari l’anno e da fornire quotidianamente acqua sia alla popolazione palestinese che al Regno di Giordania. Osservando gli specifici problemi idrici dell’Iran e sapendo come Israele li ha del tutto superati, si potrebbe concludere che la Repubblica Islamica farebbe bene ad accantonare le proprie ostilità e invitare quanto prima esperti israeliani ad aiutarli nella gestione del loro sistema idrico”. Per quanto, oggi come oggi, questo ragionamento possa sembrare fantascienza, è esattamente ciò che fece lo Shah Mohammed Reza Pahlavi, a seguito del devastante terremoto nel 1962, invitando esperti israeliani a collaborare per la modernizzazione delle infrastrutture idriche del paese. Come l’Iran, Israele ha sempre avuto un clima arido e una popolazione in rapida crescita. Ma è riuscito a sviluppare metodi e tecnologie per consentire sia agli agricoltori sia agli abitanti delle città di avere sempre a disposizione tutta l’acqua di cui c’era bisogno. Vi furono anni di intensa collaborazione tra i due paesi oggi nemici, attraverso il proficuo rapporto tra ingegneri idraulici, pianificatori del territorio e altri esperti nel settore. Fino alla Rivoluzione del 1979, quando il professor Arie Issar, che guidava la squadra per lo sviluppo idrico in Iran, lasciò Teheran con il penultimo volo diretto a Tel Aviv, poco prima della deposizione dello Shah. Con l’espulsione degli esperti idrici israeliani, l’esilio e l’esecuzione di molti professionisti iraniani, da allora il sistema idrico della Repubblica islamica subì un colpo duraturo che gettò le basi della crisi idrica che il paese affronta tutt’ora. Come ci racconta Siegel, nel 2007 “quasi quarant’anni dopo che l’Iran aveva interrotto ogni rapporto diplomatico, Fredi Lokiec, un alto dirigente dell’Ide, una società del governo israeliano creata per incrementare la desalinizzazione delle acque, si trovava a una fiera commerciale in Europa, quando fu avvicinato discretamente da un ingegnere iraniano. Questi gli disse che alcune delle vecchie unità israeliane erano ancora in funzione e che i tecnici iraniani avevano tentato di copiarne alcune tramite reverse engineering, per costruirne versioni locali. Da allora continuano a esistere collaborazioni del genere, pur se sottobanco”. Siegel da anni, attraverso la sua ricerca capillare sull’acqua come principale risorsa strategica su scala globale, illustra in modo dettagliato come Israele, oggi come non mai, possa svolgere un ruolo modello per attutire le peggiori calamità idriche. Sostiene anche che la cooperazione nei sistemi idrici possa svolgere un ruolo centrale nel consolidare legami diplomatici, grazie alle oltre 300 società israeliane leader nel settore e più di 150 paesi che già ne usufruiscono: “L’accesso al know-how idrico di Israele ha contribuito a riscaldare persino i freddi rapporti con la Cina. Oggi Egitto ed Etiopia si stanno contenendo in modo ostile le risorse del Nilo, quando potrebbero adottare le strategie già offerte da Israele a numerosi stati in Asia, Africa e sud America. L’acqua ha davvero un ruolo cruciale nel creare ponti duraturi non solo sul piano commerciale, ma anche culturale. In questo senso – conclude Siegel – è una delle risorse in assoluto più importanti, non solo come volano economico ma anche per promuovere una pacificazione regionale duratura”.
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