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La rincorsa di Nicolò Cambiaghi
Ieri 06-10-25, 15:00
Tra il 2018 e il 2020 la squadra Primavera dell’Atalanta rappresentava il meglio che il calcio giovanile italiana aveva da offrire. Impressionò per talento e bellezza del gioco, vinse due scudetti di fila, segnò un sacco di reti, merito, soprattutto, di un centrocampo colmo di talento (Andrea Colpani, Dejan Kulusevski) e un tridente di tecnica, corsa e potenza. A destra scorrazzava Amad Diallo Traoré (ora solo Amad Diallo, esterno d’attacco del Manchester United); al centro segnava invece Roberto Piccoli, tra i centravanti di categoria più prolifici. La fascia sinistra dell’attacco nerazzurro era percorsa avanti e indietro da Nicolò Cambiaghi. E su Nicolò Cambiaghi si diceva allora quello che si è continuato a dire per anni: bravo tecnicamente, atleticamente eccellente. Con una postilla: ma è troppo basso. All’epoca non arrivava al metro e settanta. Qualche anno dopo, Nicolò Cambiaghi è arrivato al metro e settantatré. I giudizi però, per un bel po’ di tempo erano rimasti uguali. Perché in un calcio nel quale i centimetri verticali dicono contino assai, un calciatore fermo alle altezze degli anni Ottanta, sembrava poter essere più un problema che una risorsa. La globalizzazione del calcio ha convinto che l’altezza possa essere di pari importanza al talento. Le vittorie di squadre composte da marcantoni ha certificato che l’altezza non solo è mezza bellezza, ma è anche un lasciapassare verso la vittoria. Soprattutto se gli esterni hanno fisico e stacco tali da poter tagliare in area di rigore dalle fasce e sfruttare non solo i piedi ma pure la testa. Nicolò Cambiaghi dal basso del suo metro e settantatré centimetri sembrava essere diventato un retaggio del passato. È andato prima a farsi un po’ di esperienza in Serie B, in squadre di seconda e terza fascia (Reggiana e Pordedone), poi è arrivato a Empoli, dove, fortuna sua, certe derive ideologiche calciofile non hanno attecchito. Ha passato due anni sulla fascia sinistra a fare ciò che aveva sempre fatto: correre avanti e indietro per il campo e una volta ricevuto il pallone tra i piedi provare a trovare il modo di essere utile alla squadra tra dribbling, assist, tiri e falli subiti. Una stagione da sette gol e due assist, oltre a un numero imprecisato ma altissimo di palloni recuperati, gestiti, resi utili alla causa, però non bastò per avere l’attenzione delle squadre che più che a evitare la retrocessione avevano nel loro orizzonte l’Europa. Il motivo sempre il solito: la statura e un fisico giudicato troppo poco robusto per la Serie A, figurarsi per le coppe europee. Eppure quei centosettantatré centimetri erano difficili da spostare. Un po’ perché serviva prenderli e Nicolò Cambiaghi era solito sgusciare via alla maniera delle anguille. Un po’ perché nel corpo a corpo l’esterno risultava difficile da spostare: se si ha due gambe che sembrano radici di un platano non è semplice. Poi Nicolò Cambiaghi ha trovato Vincenzo Italiano, uno che non guarda all’altezza ma alla sostanza, e nessuno ha pensato più che quell’esterno d’attacco era troppo basso per giocare in Serie A. Lo ha aspettato dopo la lesione al legamento crociato di un anno fa. Lo ha alternato con Dan Ndoye per permettergli di riprendere confidenza con il pallone e il campo. Poi quando il Notthingam Forest ha deciso di scucire 43 milioni per lo svizzero, Italiano ha convinto Giovanni Sartori e Marco Di Vaio di avere già il sostituto migliore: Nicolò Cambiaghi. Ed era davvero così. Se ne è accorto pure Gennaro Gattuso che lo ha convocato in Nazionale. Perché lì sulla fascia sinistra in pochi, almeno in Italia, sanno fare quello che sa fare l’esterno sinistro del Bologna. Ossia tutto, ma ad altissima velocità. E poco importa se tecnicamente non è il migliore, compensa con la tattica. E poco importa se non ha un tiro eccezionale, si fa trovare dove non serve essere un fenomeno per segnare. E poco importa se non ruba la scena con giochetti da prestigiatori, “ruba” palloni e punizioni agli avversari. E tutto questo basta e avanza in un campo da gioco.
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