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Quando il Verona fu fatale per tutti. Capitan Tricella ricorda lo scudetto
Ieri 10-05-25, 10:26
Il viaggio lo ha vissuto fino in fondo: ha giocato tutte e trenta le partite di campionato senza uscire dal campo nemmeno un minuto. Roberto Tricella, classe 1959, capitano dello scudetto impossibile dell’Hellas Verona, conquistato il 12 maggio di 40 anni fa, è un tifoso del Milan cresciuto nell’Inter e finito alla Juventus, ma con otto campionati nel Verona, 11 partite in Nazionale e un Mondiale in Messico. Inizia centravanti arretrato, diventa mediano e quindi libero, come Gaetano Scirea e Roberto Galbiati, tutti di Cernusco sul Naviglio dove ancora vive, una seconda vita nel settore immobiliare. Senza rimpianti. Tricella, da ragazzo gioca nell’Inter, ma è tifoso del Milan. Se la ricorda allora la Fatal Verona, il Milan che perde lo scudetto all’ultima giornata sconfitto 5-3 al Bentegodi? “Avevo 14 anni e quel pomeriggio di maggio andai al cinema perché non reggevo lo stress della partita trasmessa alla radio. Quando sono uscito ho visto le auto passare con le bandiere della Juve. Quante lacrime ho lasciato su quella sconfitta. Ma poi Verona mi dato più di quello che mi ha tolto quel giorno”. L’Inter la prende a 13 anni dal Cernusco per 300mila lire, a 20 la cede al Verona per 250 milioni. Gioca tre anni in B. “E l’anno prima che arrivasse Bagnoli rischiammo di andare in serie C. Ci salvammo all’ultima giornata pareggiando 1-1 a Ferrara, la Spal sbagliò un rigore a dieci minuti dalla fine con Ferrari. Il miracolo Verona è nato da uno scampato pericolo”. Diventa capitano del Verona a soli 23 anni. “Quando andammo in udienza da Papa Wojtyla mi disse: ‘Ma guarda, un capitano così giovane’… diventai tutto rosso”. Come ha fatto una squadra costruita per salvarsi con pochi soldi e una rosa limitata a vincere uno scudetto? “Perché Mascetti e Bagnoli seppero scegliere i giocatori giusti. Galderisi a Torino era chiuso da Paolo Rossi e Fanna da Boniek, Di Gennaro a Firenze da Antognoni. Dicevano fossimo scarti invece eravamo alternative di lusso. Poi senza la forza muscolare dei due stranieri non so se ce l’avremmo fatta”. È vero che Elkjaer, appena arrivato, disse a Briegel: sarà dura vincere con questa banda di nanetti? “Rispetto a noi erano due giganti. Briegel poi sul lettino del massaggiatore aveva le cosce che strabordavano. Noi eravamo una banda di mingherlini. Poi però si sono dovuti ricredere”. In panchina c’era Bagnoli, il mago della Bovisa… “Era l’uomo dell’interpretazione dei silenzi. Una persona semplice che parlava poco, a volte in milanese, tanto che dovevamo tradurre il suo dialetto a Briegel, ma un allenatore che è riuscito a tirare fuori il massimo dai giocatori che aveva. Era allenatore, preparatore atletico, mental coach, tutto”. Platini disse “il Verona era fortissimo perché sembrava che non gliene fregasse niente”. Il segreto era questo? “In parte sì. Si lavorava e ci si divertiva, eravamo e siamo ancora molto amici. Ma il segreto era la semplicità, il buon senso. Bagnoli diceva: se metto insieme calciatori che giocano per come sono e hanno caratteristiche che si integrano il gioco viene da se. Oggi uno che gli somiglia molto è Claudio Ranieri”. Cominciate battendo alla prima giornata Maradona al debutto nel campionato italiano. Com’era il re del calcio? “Era nato per giocare a pallone, poteva inventare calcio in qualunque momento. Prendeva un sacco di botte senza reclamare più di tanto, ma era bravo anche a cascare e prendersi falli che non c’erano. Ma con Zico era più dura”. A Udine fece cose incredibili. “Nell’uno contro uno ero molto bravo, sapevo sempre trovare il tempo per entrare. Ma lui era incredibile: una volta mi fece volare a terra con una finta magistrale senza toccare la palla. Fortuna che poi tirò sul palo”. Era del resto il campionato più bello del mondo. C’erano anche Rummenigge, Socrates, Junior, Platini, Falcao… “Beh, allora credo si possa dire che quell’anno il Verona fosse la squadra più forte del mondo”. La partita decisiva? “Quella di Bergamo che ci consegnò lo scudetto alla penultima giornata. Perico segnò per l’Atalanta, Elkjaer per noi, poi fu solo festa. La svolta per me fu il 2 a 1 dell’andata con il Torino. Vincendo ci avrebbero sorpassato, quella vittoria ci ha dato la consapevolezza di poter arrivare ovunque”. E il gol di Elkjaer alla Juventus dove perse una scarpa? “E neanche se ne accorse. Quello è il gol simbolo, bello e impossibile, di quella stagione. A Verona dicono “veronesi tutti matti”, Elkjaer era più matto dei veronesi, in campo e fuori. Però quella con la Juve era solo la quinta di campionato”. Di quella squadra oggi manca solo Garella. Agnelli lo definì il miglior portiere al mondo senza le mani… “Sono stato in camera con lui per quattro anni. Era sempre sulla bilancia perché tendeva a ingrassare, ascoltava solo musica italiana e all’inizio pensava come portiere di non essere un granché. Poi quando ha cominciato a credere in sé è diventato un grande. Nonostante ci fossero Zenga e Tacconi una convocazione in Nazionale se la sarebbe meritata”. Quanto avete incassato per lo scudetto? “Avevamo un premio a salire che partiva da un milione di lire a punto fino a venti punti, poi due milioni e mezzo a quota 42. Per arrivare al bonus esagerato fissato a quota 43 dovevamo vincere l’ultima ininfluente partita con l’Avellino. Vincemmo 4-2. Il ragionier Rangogni, l’amministratore, era disperato”. L’anno dopo in Coppa Campioni vi elimina la Juventus: 0-0 all’andata e 2-0 al ritorno a porte chiuse per i fatti dell’Heysel. Dopo un arbitraggio che fece infuriare Bagnoli. “A fine partita disse ai carabinieri: se cercate i ladri sono nell’altro spogliatoio. L’arbitro Wurtz ci negò un rigore netto per fallo di mano di Serena, era proprio in malafede. Se per due anni non ha più arbitrato un motivo ci sarà”. Ha iniziato con l’Inter, è finito alla Juventus. Le è spiaciuto non giocare nel suo Milan? “Ero stato sondato per far coppia con Franco Baresi: purtroppo poi non se n’è fatto niente. Pensi che coppia”. Un altro Verona è possibile? “L’Atalanta ci è arrivata vicino, ha fatto lo stesso percorso del Verona senza riuscire però a vincere lo scudetto. Sfortuna. Con Scamacca avrebbero potuto riuscirci”. Volpati ha detto: solo negli anni riusciremo a renderci conto di quello che abbiamo fatto. Ve ne siete resi conto? “Siamo stati il Leicester italiano, la nostra è stata una vittoria di uomini, ma non sono io che ho fatto grande il Verona, è il Verona che ha fatto grande me”.
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