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Tour de France 2025 | La visione di Primoz Roglic, il sole nella pioggia di Thymen Arensman
Ieri 25-07-25, 17:42
Ci sono aspirazioni che sono talmente dolci e talmente eccitanti che vale la pena seguirle anche oltre l’evidenza della loro infattibilità. Primoz Roglic aveva intravisto l’immagine del podio del Tour de France a Parigi, sapeva che era solo un miraggio, ha deciso di seguirla comunque. Primoz Roglic ha trentasei anni, ma ha mantenuto però lo spirito bambino di chi sa credere che tutto sia agguantabile, di chi ha compreso che la vita senza sogni è una vita meno interessante. E così sul Col du Pré si è alzato sui pedali, ha accelerato il ritmo, ha iniziato a inseguire la visione. Sognava l’impresa. Certo, aveva messo in conto di poter non vincere. Più della vittoria a lui interessava recuperare il distacco che lo separava dal terzo, quel minuto e quarantotto che lo separava dal compagno di squadra Florian Lipowitz. Aveva messo in conto che potesse andare male, ma ha fatto spallucce. Per uno che ha vinto quattro volte la Vuelta a España, ha vinto un Giro d’Italia, una Liegi-Bastogne-Liegi e un’altra ottantina abbondante di corse, un quinto posto nella classifica generale non avrebbe cambiato alcun giudizio sulla sua carriera, un posto sul podio nemmeno, ma valeva quanto meno il rischio. Sperava in qualche distrazione da parte dei gregari di Tadej Pogacar. Erano attenti però, soprattutto determinati a concedere al loro capitano terreno libero davanti, la possibilità di vincere ancora una tappa a questo Tour de France. E così la visione di Primoz Roglic si è interrotta a ventidue chilometri dall’arrivo, nel fondovalle tra il Cormet de Roselend e l’inizio della salita che porta a La Plange. Aveva provato la mattata, la mattata gli si è ritorta contro. Lo sloveno si è staccato subito dal gruppo della maglia gialla. Ha pedalato senza forze e con il morale sotto i palmer, ha chiuso 12 minuti e 39 secondi dopo il vincitore. Quanto meno c’ha provato. Quanto meno ha animato una tappa accorciata e rabberciata. Privata della Côte d’Héry-sur-Ugine e il Col des Saisies per evitare di creare disagi agli allevatori che hanno dovuto abbattere molte mucche a causa di un focolaio di dermatite nodulare contagiosa. L’ultima salita, quella che portava a La Plange è stata un’attesa del grande duello, dell’ultimo tentativo di Jonas Vingegaard di staccare Tadej Pogacar, di provare a ribaltare un Tour de France che era irribaltabile. Un’attesa lunga e vana. Jonas Vingegaard non è mai scattato. Tadej Pogacar sì, due volte, per provare a vincere ancora. Il danese però gli è rimasto a ruota e a ruota a continuato a starci. Forse pedalando si è accorto di quanto fossero fuori dal mondo le sue parole che sostenevano che il Tour fosse ancora aperto. Non lo era. Lo ha capito oggi sotto la pioggia del cielo alpino. Gocce che hanno bagnato meno il volto di Thymen Arensman delle lacrime che si è concesso a fine tappa, seduto per terra dopo aver oltrepassato per primo la linea d’arrivo. Ha pianto l’olandese. Ha pianto Thymen Arensman perché è riuscito a vincere la seconda tappa a questo Tour de France. Perché non doveva andare così oggi, o almeno lui non sperava che potesse andare così. Così però è andata, perché Thymen Arensman è stato l’unico a prendere spunto dalla visione di Primoz Roglic. L’unico a convincersi che una giornata di pioggia tra le Alpi francesi potesse trasformarsi in una giornata di sole.
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