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A quasi due anni dal decreto legge si può dire che i rave party non esistono più
28-05-2025, 14:38
Un tempo erano eventi clandestini, sfide dirette all'autorità, feste illegali che si materializzavano in spazi occupati, boschi o capannoni abbandonati, lontano dai riflettori e dal controllo. Oggi, i rave party sembrano appartenere a un'epoca passata. O, per meglio dire, sono cambiati a tal punto da non poterli più chiamare davvero così. Oggi, ciò che viene etichettato come “rave” assomiglia più a una festa alternativa con, riferisce Il Giornale, qualche spruzzata di ideologia. Si vedono gruppi che si definiscono “resistenti”, che oscurano i volti nei video e parlano di “regime” e “libertà di espressione”, pur mantenendo – come osserva qualcuno – “un'arietta stortignaccola da centri sociali in trasferta”, mentre la polizia li osserva ballare. Il cambiamento ha un punto di svolta preciso: il decreto legge del 31 ottobre 2022. Con l'introduzione di norme più severe, si è alzato il costo legale del trasgredire. Il solo tentativo di organizzare un raduno abusivo può portare a conseguenze legali immediate. È l'effetto deterrente che le autorità speravano di ottenere – e, a quanto pare, hanno ottenuto. Ma non è solo la legge a frenare: è anche la percezione pubblica. La campagna mediatica che ha accompagnato il decreto ha riacceso una consapevolezza sopita su ciò che un tempo veniva liquidato come un comportamento vietato “ma non tanto”. L'occupazione abusiva, il degrado ambientale e l'intralcio alla viabilità non sono più tollerati con la stessa leggerezza. Le forze dell'ordine, poi, hanno cambiato approccio. La rinnovata attenzione istituzionale ha spinto anche chi era più riluttante – polizia, carabinieri, magistrati – a intervenire in modo più deciso. E gli effetti si vedono, soprattutto nella cronaca locale. Oggi i raduni non superano qualche centinaio di persone, ben lontani dai grandi teknival del passato. E più sono piccoli, più è facile chiuderli prima che decollino. C'è però un altro aspetto nuovo: la politicizzazione. Molti partecipanti si sentono parte di una resistenza simbolica, e così spuntano striscioni contro i Centri di Permanenza per i Rimpatri (Cpr), apparentemente fuori contesto ma utili a costruire un'identità antagonista. E la droga? Presente, come altrove: pasticche da discoteca e le solite nuvole di cannabis e marijuana. Ma ormai non è più la trasgressione a dominare la scena. È la disillusione. Il paradosso è tutto lì: chi prima costruiva il mistero attorno all'evento, cercando l'adrenalina della trasgressione, oggi spesso trova soltanto cordoni di agenti in tenuta antisommossa. Il simbolo dei nuovi (non) rave è questo: la festa abortita prima ancora di iniziare.
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