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Attentati Parigi: memoria collettiva si condensa sul Bataclan, altre vittime dimenticate
Oggi 11-11-25, 19:34
Come si formerà la memoria individuale e collettiva degli attentati del 13 novembre 2015 a Parigi? È per rispondere a questa domanda che nel 2016, qualche mese dopo quella notte di terrore, è nato il programma '13-novembre'. L'idea era intervistare in video mille volontari per 10 anni, ponendo sempre le stesse domande in quattro rilevazioni (2016, 2018, 2021, 2026), per monitorare la loro percezione degli attacchi. Il programma non è ancora concluso, le ultime rilevazioni sono attese per settembre 2026, ma a 10 anni di distanza alcune conclusioni preliminari è possibile trarle: la memoria degli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 si condensa sempre più intorno al Bataclan, che "ha impregnato di più la memoria dei francesi e dei media", cosa che dà alle vittime degli altri attacchi di quella notte la sensazione di essere dimenticate; i francesi continuano a percepire gli attacchi del 13 novembre come i più significativi della loro storia nazionale e internazionale e li paragonano spesso all'11 settembre; le donne tendono a farsi più carico della memoria delle vittime e di ciò che è accaduto, tanto che alle domande sul 13 novembre rispondono "come madre" mentre gli uomini più "come cittadino". A raccontarlo a LaPresse è Roberto Ticca, sociologo di formazione, membro della segreteria generale di '13-novembre', che ha seguito il programma fin dalle sue prime battute, occupandosi anche delle interviste. Dietro il progetto ci sono Denis Peschanski - storico specializzato in Seconda guerra mondiale, direttore di ricerca emerito al Cnrs, il Centro nazionale di ricerca scientifica francese - e Francis Eustache, neuropsicologo. "Nel 2015, subito dopo gli attentati, Denis Peschanski, che è il responsabile scientifico del programma, con Francis Eustache si sono detti di voler rispondere a questi attacchi con le loro armi, le armi della scienza. Si sono messi insieme per studiare quella che sarebbe diventata la memoria individuale e collettiva", spiega Ticca. Si tratta di "un programma transdisciplinare con storia, sociologia, diritto e tante altre discipline. Un progetto su 12 anni, 10 anni di raccolta dati e 2 anni di analisi dei dati. All'interno del programma ci sono diversi studi: i due più importanti sono lo 'Studio mille', dove intervistiamo mille persone per 4 volte", e "poi c'è la parte neuroscientifica, con risonanze magnetiche e vari test, che si svolge su 200 delle mille persone". I finanziamenti sono principalmente dell'Agenzia nazionale francese per la ricerca (Anr). I mille intervistati sono suddivisi in "4 cerchie, che rispettano la distanza dei testimoni rispetto agli attentati del 13 novembre", sintetizza Ticca, "nel primo cerchio ci sono le persone direttamente coinvolte, quindi le vittime degli attentati, i testimoni diretti, le persone che sono intervenute (polizia, pompieri), medici, infermieri e le famiglie di vittime e sopravvissuti. Nel circolo 2 ci sono le persone che abitano o lavorano o frequentano i quartieri toccati, cioè Stade de France, X e XI arrondissement e la sala del Bataclan. Nel circolo 3 ci sono tutte le persone che abitano a Parigi e nella sua regione. Nel circolo 4 c'è il resto dei francesi, che noi siamo andati a intervistare in 3 città oltre a Parigi: Metz, Montpellier e Caen". È il Bataclan che sta passando nella selezione della memoria collettiva di quella notte. "È quello che ha più impregnato le memorie dei francesi. E anche dei media, perché spesso gli attentati del 13 novembre vengono chiamati gli attentati del Bataclan, cosa che fa molto innervosire le vittime dirette, dà la sensazione di essere dimenticate", spiega Ticca. Questa "condensazione memoriale" si spiega con il fatto che nella sala concerti ci sono stati 90 morti, ma in totale negli attentati ce ne sono stati 132, considerando anche i kamikaze allo Stade de France e le terraces parigine dei ristoranti di X e XI arrondissement. "Le vittime si ricordano bene anche degli altri posti, li citano e ricordano i nomi", "le persone meno coinvolte da questi avvenimenti invece ricordano meno i nomi dei posti che sono stati obiettivo dei terroristi, dicono 'il ristorante'". "Questo riguarda soprattutto le persone delle altre città", sottolinea Ticca, che ricorda che "anche in Italia il film sulla caccia ai terroristi, che in francese si chiama 'Novembre'", è stato distribuito come 'I cinque giorni dopo il Bataclan', "quindi è abbastanza evidente che c'è una condensazione sulla sala concerti". La pandemia ha avuto un impatto meno visibile di quanto ci si aspettasse sulle interviste dei partecipanti al programma. "C'è una domanda nel questionario: 'quali sono gli avvenimenti che vi fanno pensare al 13 novembre?'. Pandemia e Covid non sono quasi mai nelle risposte", mentre i paragoni più citati nelle interviste sono quelli con l'11 settembre del 2001 negli Usa e con la Seconda guerra mondiale o con altri attacchi in Francia, spiega il sociologo, che evidenzia che "è toccante che le vittime si siano unite e si aiutino fra loro in una comunità, è bello vedere come molti abbiano deciso di reagire in gruppo invece di isolarsi". Pochi mesi fa, poi, è successo qualcosa che nel 2016 era impensabile. L'Ina, Istituto nazionale dell'audiovisivo, rendendosi conto di avere a disposizione oltre 4.500 ore di interviste negli archivi, ha avuto l'idea di provare a farne un documentario. '13 novembre: nos vies en éclats' è andato in onda qualche giorno fa su France Télévisions. "È una cosa che nel 2016 sembrava impossibile", ma "10 anni dopo ci è sembrato fosse un modo per rendere giustizia" alle vittime e "alle persone che avevano dato il loro tempo raccontando le loro storie, ma anche per restituire qualcosa alla società", rimarca Ticca. Probabilmente questo documentario contribuirà esso stesso alla formazione della memoria collettiva, un po' come quando si decide quali foto mandare in stampa, e "per questo abbiamo cercato di essere più rappresentativi possibili, con tutti i luoghi toccati, con 27 testimoni, dunque un condensato delle interviste". "Speriamo - conclude Ticca - che serva anche ad altri scienziati per dare voglia di venire a vedere cosa c'è nei nostri archivi. Speriamo che altre persone si interessino e facciano avanzare la scienza".
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