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Cari genitori di Chiara non vi accontentate del nome di Stasi. Ricercate il colpevole
Oggi 17-05-25, 09:39
Non c'è dolore più grande della morte di un figlio. E aveva ragione Papa Francesco quando diceva che non esiste neppure la parola giusta per definire quello strazio. Se sei figlio e crepa un genitore diventi orfano, ma se sei madre o padre e ti uccidono la figlia, cosa sei? Lo dico pensando ai genitori di Chiara Poggi, la studentessa 26enne massacrata il 13 agosto 2007 nella sua villetta di Garlasco mentre la famiglia l'attendeva in vacanza. C'è un uomo in carcere da anni per quel delitto: Alberto Stasi, condannato dalla giustizia e dall'opinione pubblica in assenza di prove. Ma finalmente sono state riaperte le indagini e si è mosso il mondo attorno a quel paese di poche anime che chiede l'oblio e torna ogni volta alla ribalta della cronaca. Immagino lo strazio dei Poggi. Ogni refolo di questa nuova inchiesta che scava nelle loro vite è come una goccia di sale su una ferita mai rimarginata. Sommozzatori, vigili del fuoco, perquisizioni a casa di Andrea Sempio (unico indagato), al papà, alla mamma che non sta bene e piange, e poi agli amici che allora erano solo ragazzi. Diari sfogliati e indagati con cura. Ricordi che finiscono nelle mani degli inquirenti, presi, infilati in buste di plastica e poi archiviati come nuovi elementi di indagine, quando sembrava fossero solo frammenti di un passato da consegnare a una memoria benevola. Affiorano anche i reperti di allora: le tracce organiche sotto le unghie, le fascette adesive usate per prendere le impronte nella villetta del delitto, il frammento del tappetino del bagno schizzato di sangue, i resti di una colazione antica: l'Estathé, il Fruttolo, un sacchetto di cereali. Mai repertati o mal repertati. E adesso tornano centrali, mentre il tempo corre rapido e il fogliame nella campagna rigogliosa avanza, attorno alle cassette delle poste, lungo gli argini dei tombini. E poi quel martello ritrovato mercoledì pomeriggio sul fondale del canale di Tromello, dietro la casa della nonna delle gemelle Cappa, dove nessuno vive più: sarà quella l'arma che ha ucciso così vigliaccamente e turpemente? O sono solo ferraglie inutili, finite nella mischia per confondere ulteriormente le acque? I vecchietti della piazza, l'altro giorno, strabuzzavano gli occhi incuriositi mentre i vigili del fuoco si calavano nel canale melmoso e riaffioravano con strane forme in mano… Non era mai capitato di assistere a un simile spettacolo. Saranno lunghi i tempi, le indagini e la trama di questo nuovo capitolo del caso Garlasco. Però il dolore di un genitore non può perdere di vista il fine ultimo della vita e di ogni coscienza: la ricerca della verità. Lo dico per Chiara, per la giustizia, per il suo corpo martoriato nel pieno della giovinezza, per il tormento che ha devastato la famiglia Poggi e quella dell'unico accusato di questo grande delitto: Alberto Stasi. Non ho fatto mai mistero di quello che penso su quel ragazzo, cui mi unisce una profonda amicizia e un sentimento di affetto sincero. Si finisce in gattabuia perché si è ritenuti colpevoli al di là di ogni ragionevole dubbio. Ma nel suo caso i dubbi erano troppi e non sono mai stati fugati. Non c'erano prove. Non c'era un alibi. Solo supposizioni messe l'una in fila all'altra insieme a una voglia incredibile di trovare un colpevole. E poi Stasi era il profilo perfetto. Bocconiano, occhialuto, timido oratore e fidanzato schivo davanti ai riflettori invadenti. L'unico che ruotasse con la sua bicicletta e i suoi modi impiegatizi attorno alla vita di Chiara, mentre gli altri – amici, compagni, parenti – sembravano solo comparse ininfluenti e vennero sentiti ma mai seriamente presi in considerazione in quell'estate grama. Confusioni, pasticci, indagini e persino procure sovrapposte. Ricordate tutti com'è andata. Alberto viene processato in Corte d'Assise e assolto per mancanza di elementi di colpevolezza. Ma la pubblica accusa fa ricorso e viene assolto di nuovo. Giubilo e sollievo. I PM insistono, vogliono andare in Cassazione e arriva la condanna definitiva a 16 anni. Una Corte che smentisce le altre due. Non si era mai visto e mi ha lasciato basito. Tuttavia, la ruota gira. E quel che metti sotto il tappeto prima o poi scava un pertugio e riemerge più forte di prima. Arriviamo dunque all'oggi. Nuove indagini. Nuovo indagato. Non ho elementi per dire se questo ulteriore capitolo di inchiesta sarà condotto con la perizia che è mancata alla prima. Ma ho abbastanza esperienza di tribunali da pensare che, se gli inquirenti sono partiti lancia in resta, forse hanno una pista da seguire. Ed è giusto così. Anzi, sacrosanto. Al posto dei Poggi lascerei fare, dunque. E rinuncerei alle proteste, alla rabbia, a quella granitica certezza che il colpevole sia solo Alberto Stasi e il resto pure illazioni. Comprendo la voglia di chiudere i conti con il passato e provare a vivere la vita che resta dopo una figlia che ti muore in quel modo barbaro. Ma non ci si deve accontentare di un nome, si deve cercare il colpevole. C'è sfiducia, lo so bene: troppi delitti sono rimasti irrisolti in questo nostro Paese. Ma ci sono anche dei poveretti finiti in carcere per errori grossolani della giustizia. Penso a Enzo Tortora, ammanettato come il peggiore dei criminali davanti all'Italia basita senza avere colpa. Solo io mi presi la briga di leggere gli atti e finì con l'assoluzione, ma l'uomo era già prostrato nell'animo e nel fisico, e dopo il calvario venne la morte. E ricorderete tutti Beniamino Zuncheddu, il pastore sardo ingiustamente accusato di aver ucciso 3 persone e rimasto in carcere da innocente 33 anni: metà vita buttata via e 30 mila euro di danni per la detenzione in celle piccole e sovraffollate. Eppure non prova rancore e non è nemmeno arrabbiato. Beato lui che ha questa pace nell'animo. Io, al suo posto, sarei incazzato nero. 740 milioni in risarcimenti a vittime della giustizia da parte dello Stato: 81 mila euro al giorno. Vi par poco? Tornando a Stasi, lo ripeto: si è sempre proclamato innocente e non ci sono prove contro di lui. Il minimo che gli si deve è indagare ancora. Anche se fa male, anche se riporta a galla dolori ormai sopiti. Altrimenti di vittime ne avremo due. E non sarà mai resa giustizia a Chiara (e a nessuno dei suoi cari), al di là di ogni ragionevole dubbio.
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