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Dai gay ai divorziati la sfida di Zuppi: alla Cei il documento che non piace a Leone
21-10-2025, 19:50
«Errare humanum est, perseverare autem diabolicum». Questa locuzione latina, peraltro da molti attribuita a Sant'Agostino, si attaglia perfettamente a quanto sta accadendo in questi giorni nella Conferenza Episcopale italiana, la quale si appresta, sabato prossimo 25 ottobre, a (ri)votare un documento fortemente criticato da molti vescovi e già bocciato in occasione del precedente Sinodo della Cei svoltosi poche settimane prima della morte di Papa Francesco. Nei prossimi giorni l'Assemblea sinodale dei Vescovi italiani presieduta dal cardinale Matteo Zuppi persevererà nell'errore, discutendo e votando un testo pressoché identico a quello che pochi mesi fa nella votazione finale del 3 aprile non era stato approvato con una larghissima maggioranza di voti negativi (835 no su 854 votanti) facendo infuriare Bergoglio proprio negli ultimi giorni del suo cammino terreno. Quella che si è verificata in aprile è stata una «rivolta democratica» senza precedenti in seno alla Cei; mai, infatti, era accaduto che un documento ufficiale predisposto dagli uffici della Conferenza Episcopale italiana fosse bocciato con una così ferma e quasi totale levata di scudi. Dopo la batosta monsignor Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Carpi e vicepresidente Cei per l'Italia settentrionale che aveva presieduto i lavori di quell'assemblea sinodale, cercò di sdrammatizzare sottolineando che «le moltissime proposte di emendamento avanzate dai 28 gruppi di lavoro richiedono un ripensamento globale del testo». In realtà, dopo la lavata di capo fattagli da Papa Francesco, lo stesso Castellucci aveva fatto dietrofront facendo filtrare l'intenzione di «non voler cambiare una virgola» di quel documento. Moltissimi vescovi avevano criticato le parti del documento riguardanti donne, persone omosessuali e transgender ritenendole «poco chiare e necessitanti di un'elaborazione più approfondita». Proprio gli articoli 30 e 31 del testo, riguardanti una «maggiore inclusività nella gestione dell'accompagnamento delle persone in situazioni affettive particolari» come separati, divorziati e omosessuali e nel «riconoscimento del ruolo delle donne» anche nella leadership della Chiesa erano stati oggetto di feroci critiche mosse da gran parte dell'episcopato italiano. Eppure, come riportato dal sempre informatissimo blog "Messa in Latino", quando lo scorso 15 ottobre i 220 vescovi "operativi" dell'assemblea sinodale hanno ricevuto la bozza del nuovo documento che andrà in discussione questo sabato, molte eccellenze sono saltate sulla sedia notando che il testo è praticamente uguale al precedente e in particolare gli articoli 30 e 31 sono rimasti di fatto inalterati. Il paragrafo 30 della nuova bozza esalta l'accoglienza di «tutti, tutti, tutti», come voluto da Bergoglio, e suggerisce percorsi di «integrazione per chi vive in unioni diverse dal sacramento del matrimonio, come le seconde unioni o le convivenze». Come molti vescovi avevano già fatto notare precedentemente, questa proposta si pone in aperta contraddizione con l'insegnamento del Catechismo della Chiesa cattolica. Nondimeno, il paragrafo 31 dedicato alla «dimensione affettiva» spoglia la sessualità della sua natura teologica e morale per ridurla a un mero campo di analisi psicologica e sociologica. Di fatto, quindi, la dirigenza Cei a trazione zuppiana propone di accogliere «todos, todos, todos» accantonandola radicata dottrina della Chiesa e affidando eventuali «problematiche personali» a delle "realtà civili", che è in pratica come dire: accogliamo divorziati, risposati, gay e trans, al resto ci penseranno gli psicologi. Non è chiaro perché il vertice della Cei si stia ponendo così in contrasto con la nuova rotta tracciata da Papa Leone XIV ma è fuor di dubbio che i rapporti personali tra Zuppi e Prevost - come Il Tempo ha evidenziato precedentemente in altri articoli – siano ormai ai minimi storici. Voler forzare la mano su un testo del genere proprio ora che Leone ha ripristinato per sé stesso il titolo di «Primate d'Italia» abolito da Bergoglio nel 2020 è un azzardo che potrebbe portare il pontefice a rivalutare l'idea di tenere Zuppi a capo della Cei fino alla fine del mandato prevista nel 2027.
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