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Flotilla e Venezi, ecco cosa avrebbe fatto il “Divo” Giulio
Oggi 02-10-25, 09:15
Caro Direttore, con la tua contagiosa curiosità mi chiedi cosa avrebbe fatto Giulio Andreotti davanti a due fatti d'attualità tanto diversi quanto irresistibili: la Flotilla – che il Divo, con un sorriso sornione, avrebbe ribattezzato “Fottilia” – e la vicenda del direttore d'orchestra Beatrice Venezi. Rispondo volentieri, provando a immaginare nel mio piccolo il Presidente. Perché se c'era un terreno su cui Andreotti sapeva muoversi come nessun altro, erano proprio i due mondi che evochi: la politica estera – in particolare quella mediorientale, sempre in equilibrio tra Tel Aviv e Riad – e la musica classica, dove il suo cuore batteva per il gregoriano e le grandi partiture liriche. Non a caso, in occasione di un vertice internazionale, deliziò i capi di Stato con un Macbeth interminabile al Teatro dell'Opera, mentre il sovrintendente di allora, Gian Paolo Cresci – già direttore de Il Tempo e soprannominato “pesce pilota” perché precedeva sempre Amintore Fanfani – saltellava tra il palco reale e le quinte. Su Gaza, nessun dubbio: si sarebbe messo in gioco in prima persona, coinvolgendo i due patriarchi di Gerusalemme – Pizzaballa per i cattolici, Teofilo III per i greci ortodossi – e, con il suo stile da papalino consumato, avrebbe convinto Benjamin Netanyahu che non vale la pena alimentare “'sta gazzarra”. La sua ricetta? Lasciar entrare la flottiglia in un porto israeliano come un'armata Brancaleone del mare, far scaricare viveri senza far neppure scendere l'equipaggio, e rimandare le barche al largo con tanti ringraziamenti. Tutto risolto, senza titoli gridati sui giornali e senza quell'inutile suspense che non fa che attirare ulteriori antipatie. Quanto alla Venezi, oggi difesa dalla sua amatissima Giulia Bongiorno come fosse una Giovanna d'Arco in haute couture, sarebbe stato più sottile. Mai una parola di troppo, mai scivoloni sul terreno del sessismo o della politica. Avrebbe ricordato, con il suo aplomb, che direttori ben più controversi – e dalle idee forti – non furono mai contestati sul podio. Ma alla giovane musicista un consiglio lo avrebbe sussurrato: «Attenta, senza orchestra non si dirige. Se non ti riconoscono, rischi l'umiliazione con i professori che guardano più il primo violino che la tua bacchetta” In Prova d'orchestra Fellini lo aveva già messo in scena: quando l'orchestra dice “non guardare il direttore”, il direttore non esiste più». Morale andreottiana: meglio un passo indietro strategico che una sconfitta plateale. Del resto, c'è un precedente formidabile: Riccardo Muti, che ha qualche titolo in più rispetto all'eterea Venezi, dopo 48 ore di polemiche con la direzione della Scala scelse di lasciare senza alimentare inutili risse. Andreotti, sempre più realista del re, lo avrebbe riassunto con la sua legge aurea: come alle elezioni, se non si prendono preferenze è meglio non presentarsi. Oppure, mai farsi contare. Perché – e qui il Divo alzava l'indice – anche davanti alla giustizia il problema non è avere ragione, ma che qualcuno te la dia.
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