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Flotilla verso Gaza: vera solidarietà o spettacolo politico?
02-10-2025, 15:24
La Flotilla ha deciso di alzare la posta: non più un gesto simbolico, ma un tuffo a capofitto in una zona ad alto rischio, sotto controllo israeliano, a meno di 130 miglia da Gaza. Ciò che viene presentato come “missione umanitaria” somiglia più a una scena teatrale che a un aiuto concreto. Le vite dei civili diventano scenografia, i partecipanti attori inconsapevoli, e la protesta si trasforma in un reality live sui social media. Il rischio? Equipaggi esposti, tensioni accese, e tutto per cosa? La solidarietà vera non si misura in miglia nautiche coraggiose o dichiarazioni indignate davanti a telecamere. A volte l'attivismo, nella storia, ha smosso le coscienze, ma era coordinato, con basi solide, non estemporaneo, senza telecamere né cellulari. Negli anni Sessanta e Settanta, i movimenti per i diritti civili e il vero femminismo cambiavano il mondo con azioni concrete: marce pacifiche, assemblee, occupazioni, educazione e pressione sulle istituzioni. Non era un partito a guidarli: la spinta era etica, sociale, umana. Pensiamo alla lotta per i diritti civili degli afroamericani, all'ambientalismo con il primo Earth Day del 1970 negli Stati Uniti, con milioni di partecipanti, o al femminismo dagli anni Settanta agli anni Novanta, che combatteva per leggi, educazione e pari opportunità, senza cercare like o consensi elettorali, con strategie lunghe, pazienti e spesso invisibili ai media. Oggi non è più così. L'attivismo rischia di diventare partitico, legato a logiche politiche o a campagne di visibilità: la protesta diventa spettacolo, il gesto solidale marketing, e l'obiettivo reale – alleviare sofferenze, cambiare leggi, sostenere chi è vulnerabile – passa in secondo piano o resta sullo sfondo. Anche le tensioni attuali nel nostro paese, e l'annuncio dello sciopero generale da parte della CGIL, mostrano quanto questo sia un momento delicato e quanto un attivismo spinto all'eccesso possa risultare non solo inefficace, ma persino strumentale. Uno sciopero che, come già successo nei giorni scorsi, non tiene conto del rischio di violenze, dei blocchi nelle città, stazioni e porti, della sicurezza dei cittadini che devono raggiungere i posti di lavoro, e delle forze dell'ordine impegnate sul campo. In questo contesto, la Flotilla rischia di diventare più uno strumento politico e mediatico che una vera missione di solidarietà. E allora: chi guadagna da tutto questo? Non certo i civili di Gaza, né la pace. Il vero protagonista è l'immagine: la diretta, la foto, il tweet indignato. Sul terreno, il rischio è concreto, l'aiuto reale incerto. Quello che sembrava un atto di compassione rischia di trasformarsi in uno spettacolo mediatico, dove l'umanità è solo cornice per il marketing politico di una certa nostra sinistra in evidente difficoltà. In queste ore, la "flotta" fa i conti con le autorità israeliane e con gli occhi del mondo, mentre la vera tragedia resta dietro l'obiettivo: sacrificata sull'altare dell'“apparire”. Solidarietà o show? Per ora, sembra vincere solo il palcoscenico.
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