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Giorgia Meloni e la classe dirigente per battere procure e Deep State
Oggi 27-07-25, 14:29
Prima Beppe Sala, poi Matteo Ricci. Uno sindaco, l'altro ex, tra i più mediatici del panorama degli amministratori locali. Chi sarà il prossimo? Ormai, in Italia, amministrare un comune è diventato una roulette russa. Se a governare si rischia un avviso di garanzia, non governare è l'unica garanzia che resta. Nell'Italia del 2025, fare il sindaco non è più un mestiere: è diventato uno sport estremo. Non importa quanto uno sia bravo, trasparente, cauto, onesto: a prescindere dal colore politico, rischia la gogna. Tanto qualcosa da imputargli si trova sempre. Cosa diceva un esperto del settore come il pregiudicato Piercamillo Davigo? «Non esistono innocenti, ma solo colpevoli che l'hanno fatta franca». Ogni firma è un potenziale capo d'imputazione, ogni collaborazione un indizio di associazione a delinquere, ogni telefonata un possibile avviso di garanzia, meglio se anticipato dal quotidiano giusto. Prendiamo Sala, che in consiglio comunale piagnucola per aver saputo dell'avviso di garanzia prima dai giornalisti che dalla procura. Ci si è dimenticati che anni fa toccò lo stesso destino a Silvio Berlusconi, quando a Napoli presiedeva il vertice mondiale contro la corruzione, e fu proprio — oggi come allora — Il Corriere della Sera ad anticipare la notizia del provvedimento finito poi nel nulla. Tutto torna. Niente cambia. Giorgia Meloni lo sa. E anche bene. Eppure, nessuno osa rimettere mano a questa macchina impazzita. In nome della semplificazione, la legge costituzionale 3/2001 ha disposto la soppressione del Co.Re.Co., il Comitato Regionale di Controllo. Un organismo che controllava ex ante gli atti degli enti locali, ne verificava la legittimità, ma soprattutto creava una rete di sicurezza per i sindaci, gli assessori, i presidenti di provincia. L'Ente è stato smantellato nella sbornia dell'autonomia differenziata targata centrosinistra, quando tutto ciò che era centralizzato doveva morire in nome di un federalismo tanto ideologico quanto immaturo. Al suo posto, qualche pannicello regionale: un comitato di valutazione dei rischi, una spruzzata di strutture sparse e soluzioni estemporanee. Il tentativo di reintrodurre alcuni controlli preventivi di legittimità mediante la riforma della Corte dei Conti (DDL Foti, approvato dalla Camera e attualmente all'esame del Senato) è davvero poca cosa rispetto a ciò che servirebbe. Niente più filtri quindi niente controlli preventivi, niente mediazioni. Solo due poteri sul campo: le procure e la burocrazia. Con il potere giudiziario che indaga a piacere e la burocrazia che firma poco, scarica tutto in percorsi farraginosi, così da far restare tutto immobile. Nel frattempo, si è “tagliata” anche la politica. I consigli comunali sono stati svuotati, il potere è stato accentrato nei sindaci, i quali però sono appesi ai dirigenti, figure onnipotenti e spesso irresponsabili. Una macchina che produce paura e paralisi. Qui sì che ci vorrebbe una riforma. Una bandiera che il centrodestra dovrebbe piantare con orgoglio. Proprio ora che i suoi avversari di sempre — da Sala a Ricci — sono entrati nel mirino, con la Schlein che sembra in stato confusionario e Peppiniello Conte, in versione Cetto La Qualunque, somigliante a una delle maschere tragicomiche di Alberto Sordi. Fratelli d'Italia, dopo dieci anni di opposizione identitaria, si ritrova partito di governo con la comprensibile difficoltà di avere una classe dirigente all'altezza. Rischia di rimanere un corpo estraneo allo Stato. Quando è stato il momento di scegliere, è stato costretto a pescare dove capitava: nelle rovine della destra post-missina, nei cimiteri romani del parastato, tra nostalgici e reduci. Eppure oggi, più che mai, servirebbe una forza che difenda chi amministra. E Meloni, anche per il suo consolidato prestigio internazionale, potrebbe intestarsi questo cambio di passo. L'abolizione dell'abuso d'ufficio è un punto di partenza. Paladina contro un sistema in cui chi prende decisioni rischia la ghigliottina, e chi si sottrae viene premiato. Una vera e propria emergenza democratica in cui servono quadri. E la premier e i suoi ministri con maggior esperienza negli apparati — da Crosetto a Piantedosi — ne sono consapevoli. E allora, magari, si potrebbero rivitalizzare esperienze serie, concrete e solide. Come quella — raffinata e silenziosa — della Scuola di formazione politica “Vivere nella Comunità”, voluta da Pellegrino Capaldo e Sabino Cassese. Rispettivamente, il più illuminato tra i banchieri cattolici, scomparso poco tempo fa, e il più lucido tra i giuristi istituzionali. Con loro, tra gli altri, Paolo Boccardelli, Massimo Lapucci, Stefano Lucchini. Niente militanza cieca, niente fedeltà da branco. Solo senso dello Stato, sobrietà, competenza. Sostenuta da CDP, Poste, Intesa San- paolo, Ferrovie, SACE, Agenzia delle Entrate, Luiss. Un laboratorio silenzioso che sappia formare teste pensanti qualificate per Amministrazione ed aziende . A sinistra, invece, un gotha che influenza scelte e modella il sociale ce l'hanno sempre avuto. Non servono le urne: comandano comunque. Il potere che non si vede, ma c'è. Università, magistratura, fondazioni, editoria, scuole, Ong, fino alla Rai, dove — sotto la gestione dell'AD Gianpaolo Rossi — ormai va in onda solo caos. Che potrebbe iniziare una svolta almeno con la privatizzazione di una rete. È il blocco cattocomunista, nato dal bizzarro patto tra ex comunisti e cattolici d'apparato. Un blocco che non vince, ma resiste. Non governa, ma comanda. Finché il centrodestra non costruirà un suo vero contro-potere culturale e istituzionale, resterà, di fatto, minoranza. Anche quando vince. Selezione, costruzione, formazione e protezione: sono queste le parole d'ordine per rompere il soffitto di cristallo che tiene in ostaggio il potere legittimo. Perché il vero pericolo, in Italia, non è l'estremismo. È la solitudine — e a volte anche l'impreparazione — dei governanti. Il vuoto intorno a chi firma, a chi decide, a chi rischia. Riaprire un dibattito sul Co.Re.Co. non è nostalgia da Prima Repubblica. È buon senso. Una via per tornare a una politica che decide senza tremare. Che amministra senza temere. Che serve senza finire sacrificata sull'altare del sospetto. Al resto, penseranno i verbali.
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