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Il fisico Cima: "La bomba atomica non è propaganda dell'Iran ma una realtà concreta"
Oggi 25-06-25, 11:46
Con una mossa mirata a decapitare il programma nucleare iraniano, gli Stati Uniti sono intervenuti, nella notte tra il 21 e il 22 giugno, al fianco di Israele sganciando le GBU-57 (ordigni americani capaci di penetrare a fondo) sui siti di Fordow, Natanz e Isfahan, i bunker in cui Teheran arricchisce l'Uranio. Immagini satellitari hanno suggerito che i piani della repubblica islamica hanno subito danni ingenti, ma non il colpo di grazia auspicato dal presidente Usa Donald Trump. Come stanno realmente le cose? È legittimo il timore occidentale nei confronti dell'imminente costruzione della bomba atomica? Per Giuseppe Cima, fisico con lunghe esperienze di ricerca, teorica e sperimentale, nel campo della fusione nucleare presso istituti italiani ed esteri, «assolutamente sì. Gli iraniani erano già ampiamente sospettati di produrre un ordigno del genere verso la metà degli anni Novanta. È tutt'altro che una novità e, anzi, bisognerebbe meravigliarsi del fatto che ancora non ne abbiano dato prova concreta». Israele e Usa sono riusciti ad annichilire il programma nucleare iraniano? Si può parlare di una battuta d'arresto? «Posso dire con certezza che il programma nucleare di Teheran è stato danneggiato e rallentato. È difficile, però, stabilire di quanto». L'Iran è stato attaccato con bombardamenti massicci per la paura che si doti o che si sia già dotato della bomba atomica. Quanto tempo ci vuole per costruirne una? Crede che Teheran sia a buon punto? «È abbastanza semplice calcolarlo. Dipende da quante centrifughe e quanti soldi si hanno a disposizione. Gliiraniani hanno un programma nucleare da più di trent'anni e, verso la metà degli anni Novanta, erano sospettati di essere capaci di produrre la bomba atomica. Bisognerebbe piuttosto meravigliarsi che non l'abbiano ancora reso noto. Ho dubbi invece sul fatto che gli ordigni americani abbiano potuto raggiungere 60 metri di profondità. Penso, in maniera più realistica, che si faccia riferimento a effetti sismici, la cui efficacia dipende da molti fattori». È più propaganda di guerra o realtà? «No, non è propaganda. Non è un caso che la Germania e l'Italia non abbiano programmi nucleari. È il risultato di una politica chiara che lo ha impedito». Quali progressi possono essere stati fatti rispetto alle bombe atomiche sganciate sulle città di Hiroshima e Nagasaki nel 1945? «Il sistema è evoluto in maniera notevole. Le centrifughe nucleari (i dispositivi utilizzati per l'arricchimento dell'uranio, ndr), che allora non c'erano, sono molto più efficienti ed economiche. Il caso della Corea del Nord è emblematico: non è un Paese molto industrializzato, ma lì il programma nucleare si è sviluppato velocemente». L'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) ha rassicurato dicendo che «non sono stati segnalati aumenti dei livelli di radiazioni all'esterno dei siti iraniani bombardati». È così? «Sì. L'Aiea ha un'esperienza straordinaria in questo campo ed è affidabile». Dopo due anni come membro osservatore, l'Italia è entrata a far parte del gruppo di Stati membri dell'Ue che considerano l'energia nucleare una risorsa fondamentale. Il nucleare può entrare a far parte della strategia energetica del nostro Paese? «Certo. Da un punto di vista pratico, riguarda però i nostri figli. Avere dei reattori nucleari è possibile. La discussione, però, va spostata sul piano temporale ed economico. Pensiamo alla Francia,il Paese più nuclearizzato del mondo. Ha fatto bene? Si tratta di un programma che richiede almeno 20 o 30 anni di tempo. La questione rimane aperta. Io continuerei con la ricerca ma non prenderei decisioni affrettate». Lei è un esperto della fusione nucleare, un processo che ha un potenziale come fonte di energia pulita. C'è chi parla di rivoluzione. Lo conferma? «Nessuno ha ancora una soluzione anche lontanamente realizzabile. Tecnicamente vengono riproposte vie vecchie, già ritenute improponibili, e non vedo alcuna novità di rilievo. Il recente fenomeno della fusione legata agli imprenditori va valutato in termini speculativi e finanziari. L'Italia, per quanto riguarda la fusione, è un Paese ottimista in maniera anomala anche per la frustrazione accumulata con le bocciature referendarie della fissione. Credo che in politica nessuno voglia un altro referendum sul nucleare dopo quelli del 1987 e del 2011. Un clima che si somma alla dubbia convenienza del nucleare tradizionale».
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