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Il grande caos del referendum. Da Calenda a Schlein a Bonelli, opposizioni in ordine sparso
Oggi 13-05-25, 07:35
«Tutti coloro che stanno a prua vadano a poppa, e quelli a poppa vadano a prua»: insomma, ognuno faccia come gli pare. Altro che testardamente unitari, come vorrebbe Elly Schlein: il campo largo, alla scadenza referendaria dell'8 e 9 giugno, si presenta in ordine sparso. Nonostante il Nazareno e la Cgil stiano tentando di trasformarla nella madre di tutte le battaglie - quella che dovrebbe lanciare l'inseguimento a Giorgia Meloni - la situazione, a guardarla da vicino, è tutta un'altra storia. Il Pd, che ha aderito alla raccolta firme di Corso Italia per abrogare una legge che aveva entusiasticamente approvato dieci anni fa, è oggi spaccato esattamente a metà. Da una parte ci sono il Nazareno, i fedelissimi della segreteria ed i pentiti per definizione - quelli che nel 2015 festeggiavano l'approvazione del Jobs Act e oggi ne prendono le distanze. Dall'altra parte l'area dei riformisti, esponenti di primo piano come gli ex ministri Lorenzo Guerini, Dario Franceschini e Marianna Madia, il componente della segreteria Alessandro Alfieri, l'ex capogruppo Simona Malpezzi. Elly Schlein ha imbracciato l'ascia referendaria anche per mettere le cose in chiaro: «non siamo più quelli del passato: o state in silenzio o ve ne andate». La segretaria ha il coltello dalla parte del manico - sarà lei a compilare le liste per le elezioni politiche del 2027. La corrente cerca di stare in equilibrio tra coerenza e convenienza: non ritireranno le schede o voteranno quattro No (e un Sì, quello sulla cittadinanza), senza dare nell'occhio. Nel campo largo, più astuta la posizione del M5S: quattro Sì sul lavoro e libertà di voto sulla cittadinanza. Giuseppe Conte ha stretto da tempo i rapporti con Maurizio Landini e si è lanciato subito sui referendum sul lavoro - un'occasione ghiotta per speculare sulle divisioni dei "dirimpettai". Il messaggio dell'avvocato di Volturara Appula è chiaro: «Io sono il leader, Elly risolva prima i problemi che ha dentro il Pd». Sulla cittadinanza, però, Conte si distinguerà: lascerà libertà di voto, anche se personalmente opterà per il Sì. Ancora più variegata la posizione nei partiti dell'ex Terzo Polo, accomunati però da un'identica indicazione di voto: quattro No e un Sì, quello sulla cittadinanza. Per l'ex presidente del Consiglio si tratta di una linea prevedibile, visto che è il padre del provvedimento che abolì l'articolo 18. Prevedibile ma non priva di insidie: Italia Viva ha pur sempre preso la tessera del "club" campo largo. Il senatore ieri ha comunque tenuto il punto: «Landini fa un vero autogol». Ancora più esplicito il vicepresidente Enrico Borghi che dice al Tempo: «sul lavoro si consuma la definitiva cesura tra il massimalismo di chi guarda indietro e la capacità riformista di chi guarda avanti». Il leader di Azione, Carlo Calenda, mette il dito nella piaga: «I quesiti sul lavoro sono un pezzo della campagna elettorale di Landini per diventare il leader del centrosinistra». Ancora diversa la posizione di Più Europa, che ha promosso il referendum sulla cittadinanza: oltre al Sì sul suo quesito, sugli altri l'indicazione è quella di andare a votare, per contribuire ad alzare il quorum. Così, l'unica posizione granitica nel campo largo è quella di Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni: Avs voterà compattamente cinque Sì. La playlist è di Lucio Battisti: «Confusione / mi dispiace / se sei figlia della solita illusione».
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