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Il trucco delle moschee per incassare il 5 per mille: "Più controlli"
Oggi 25-06-25, 09:45
Un sistema di finanziamento ambiguo, sul quale occorre fare luce al più presto o un metodo efficace per aggirare un vuoto legislativo? È una vicenda solo in apparenza tortuosa quella denunciata dall'europarlamentare della Lega, Susanna Ceccardi. Che ha chiesto, con una interrogazione depositata a Bruxelles, di approfondire il tema e comprendere se vi siano profili di illegalità. Il nucleo centrale della presa di posizione dell'esponente del Carroccio è rappresentato dall'otto per mille. Si tratta di una quota di imposta sui redditi Irpef che lo Stato italiano distribuisce, in base alle scelte effettuate nelle dichiarazioni dei redditi, fra sé stesso e le confessioni religiose che hanno stipulato un'intesa. Nello specifico, si tratta della chiesa cattolica, della chiesa valdese, dell'unione delle chiese cristiane avventiste del settimo giorno, delle assemblee di Dio in Italia, dell'unione delle comunità ebraiche italiane, della chiesa evangelica luterana in Italia, dell'unione cristiana evangelica battista d'Italia, della sacra arcidiocesi ortodossa, della chiesa apostolica in Italia, dell'unione buddhista italiana, dell'Unione induista italiana, dell'istituto buddista Italiano Soka Gakkai e dell'associazione chiesa d'Inghilterra. È facile notare come non sia presente la Comunità Islamica. I motivi sono sostanzialmente legati alla necessità giuridica d'interloquire con enti riconosciuti formalmente dallo Stato (e che pertanto abbiano titolo a rappresentare le comunità degli oltre 2,5 milioni di fedeli musulmani stimati nel Paese). Ma all'interno dell'Islam, come è noto, non vi è un'unica voce, non c'è, in poche paro le, l'equivalente del Papa cat tolico. Per la legge Italiana è inoltre essenziale che l'ente rappresentativo di un culto si riconosca a sua volta nei valori fondanti del nostro Paese. Sono venti anni che si parla di questo passaggio (se ne iniziò ad interessare Massimo D'Alema), ma, ad oggi, non sono stati fatti passaggi in avanti. E cosi una parte del mondo islamico ha cercato di aggirare la norma e di tuffarsi sul 5x1000, la quota dell'imposta Irpef che lo Stato italiano ripartisce per dare sostegno ad enti che svolgono attività socialmente rilevanti (ad esempio non profit, ricerca scientifica, rifugi e santuari per animali). Vi sono alcune moschee, registrate come enti culturale che così si finanziano attraverso il 5x1000. Alcuni esempi? L'associazione Al Huda che, cosa si può leggere sul loro portale, «rappresenta il riferimento dell'Islam nella città di Roma e dintorni» e che è strettamente connessa con la Moschea di via dei Frassini, a Centocelle. Poi vi è il centro di cultura islamica di Bologna, l'associazione islamica di Agliana, quella di Frosinone, quella di Biella, di Monsummano Terme, di Quarrata e di Borgo a Buggiano. Minimo comune denominatore: tutte sono collocate all'interno di una moschea. Un legame che farebbe pensare più a gruppi religiosi che culturali. Senza dimenticare le associazioni nazionali Giovani Fratelli Musulmani d'Italia, l'Associazione Culturale Islamica in Italia e l'Islamic Relief Italia Onlus, al centro di numerose polemiche per presunti finanziamenti a gruppi estremisti. «Sotto le mentite spoglie di associazioni culturali, queste realtà svolgono di fatto attività religiose continuative come la predicazione, il culto e il proselitismo, diventando veri e propri luoghi di diffusione dell'Islam politico- ha sottolineato Susanna Ceccardi. Serve un'azione chiara: da Bruxelles a Roma, vanno introdotti criteri rigorosi di controllo e trasparenza per impedire che vengano assegnate risorse economiche a chi predica l'intolleranza verso le donne e gli omosessuali, la nostra cultura e i principi costituzionali».
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