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La capriola di Repubblica su Venezi: l'amava alla follia e ora la "bacchetta"
Oggi 22-10-25, 08:02
L'eco della protesta contro la nomina di Beatrice Venezi alla direzione musicale de «La Fenice» non si spegne. Venerdì scorso è andato in scena a Venezia l'annunciato sciopero di orchestrali e coro che hanno fatto saltare la prima dell'opera Wozzeck di Alban Berg ma hanno suonato all'aperto in Campo Sant'Angelo. La contestazione anti-Venezi è prevedibilmente piaciuta a sinistrae su «Repubblica» ci ha pensato la penna di Concita De Gregorio a farne un'elegia in lode delle «più di mille persone (che) vanno ad applaudire l'orchestra che sciopera e suona per la gente». Insomma, sembra proprio che per l'ascoltatissima ex direttrice de «L'Unità» gli orchestrali de «La Fenice» facciano bene a protestare contro la nomina di una donna che ritengono inadeguata per curriculum e talento. Eppure sei anni fa De Gregorio non la pensava così sulla statura musicale di Venezi e in un articolo su «Robinson», inserto culturale di «Repubblica», l'aveva inserita nell'elenco di «storie formidabili (...) di ragazzi che si ostinano in quello in cui credono e che con il loro piccolo gesto cambiano l'orizzonte comune». La firma più amata dalla sinistra scriveva che «è una battaglia contro i pregiudizi anche quella di Beatrice Venezi, direttore d'orchestra donna in un mondo di di quanto le donne stiano conquistando, finalmente, anche l'area più maschile della musica: la direzione d'orchestra». Da giovane promessa destinata ad infrangere il soffitto di cristallo, Venezi si è trasformata in un ricorrente bersaglio di critiche a sinistra a partire dal 1 maggio del 2022, quando scelse di partecipare ad un evento di Fratelli d'Italia a Milano. Per chiunque altro, la nomina alla direzione musicale di un teatro come «La Fenice» sarebbe stata l'evoluzione fisiologica di quel brillante percorso raccontato sei anni fa da «Repubblica». Non per Venezi, però, che avendo esercitato il diritto alla libertà d'espressione, peraltro senza ricoprire alcun ruolo politico o partitico, viene ora considerata inadeguata a fare il lavoro per cui si è formata e persino criticata poco elegantemente da alcune colleghe, con buona pace della solidarietà femminile. La protesta anti-Venezi ricorda un precedente avvenuto nel cinema ma sempre in Laguna. Nel 1971 un comitato di registi di sinistra scioperò contro la nomina alla guida del Festival di Gian Luigi Rondi in quanto democristiano e critico cinematografico de «Il Tempo». Per decenni la sinistra culturale gli affibbiò l'etichetta di «Doge nero», poi però negli ultimi annidi vita Rondi confessò di essersi iscritto al Pd e quando morì, «Repubblica» diede la notizia descrivendolo come «il più grande» della critica italiana.
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