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"La nuova dottrina americana: la strategia Trump e il ritorno dell'ordine nel disordine globale". L'analisi del Milton Friedman Institute
Oggi 26-06-25, 13:25
“Il mondo è cambiato. E chi ha prestato attenzione al discorso d'insediamento del 47° Presidente degli Stati Uniti, lo scorso 20 gennaio, aveva già colto i segnali di una nuova fase. L'evocazione di una “Golden Age americana” non era solo retorica patriottica, ma l'annuncio di una trasformazione profonda nella postura geopolitica di Washington", così in una nota Pierluigi Sabatini, Presidente di Geocrazia e Advisor dell'Istituto Milton Friedman. Che spiega: "Quello che molti non hanno ancora compreso appieno è il cambiamento di approccio sistemico con cui gli Stati Uniti stanno riscrivendo le regole del gioco internazionale. Se l'azione del Presidente Trump appare, a uno sguardo superficiale, caotica e impulsiva, in realtà si muove lungo una direttrice ben precisa: quella di un'America ordinatrice, che interviene chirurgicamente per modellare il disordine globale secondo i propri interessi nazionali". Pierluigi Sabatini, inoltre, dice: "Questa logica, in parte già accennata da dottrine passate (da Nixon in poi), oggi si manifesta con maggiore forza. Trump ha infatti spezzato i legami di convenzioni diplomatiche considerate ormai obsolete, abbandonando strategie multilaterali che spesso costringevano gli Stati Uniti ad azioni contrarie ai propri interessi. Ne nasce una nuova dottrina: nazionale, bilaterale, pragmatica. Il risultato? Un'America che non cerca più di gestire il mondo intero, ma di ri-definirlo su misura, Stato per Stato, interesse per interesse. Un esempio chiaro è rappresentato dalla breve ma significativa guerra dei 12 giorni tra Iran e Israele. Nessun vincitore netto, nessun trattato formale. Eppure, la tregua ha segnato un nuovo punto di equilibrio. La repubblica islamica iraniana ha temporaneamente rallentato ogni ambizione di cambiamento di regime. Israele, dal canto suo, ha ricevuto una rassicurazione inequivocabile: ogni minaccia esistenziale incontrerà una risposta decisa da parte della Casa Bianca. Washington ha operato riportando centralità e autorevolezza nella gestione del conflitto. Questa nuova centralità americana non si limita al Medio Oriente. Sul fronte euroatlantico, la pressione sulla NATO per una maggiore equa ripartizione delle spese militari ha dato i suoi frutti. Contestualmente, è stata contenuta la retorica, più simbolica che strategica, di una politica europea di difesa comune mantenendo l'alleanza atlantica, pur con nuovi equilibri, centrale nella visione di sicurezza europea. Il vero cambiamento, però, sta nella visione di fondo. Per la nuova amministrazione, la pace non è più un semplice periodo di tregua o per il raggiungimento di fini futuri, ma una condizione funzionale alla stabilità commerciale e politica dell'ordine americano. Ogni minaccia alla pace viene letta come un attacco all'interesse statunitense e quindi trattata come tale. In questa logica, Trump agisce non come un leader impulsivo, ma come il custode di un nuovo equilibrio, dove l'America non belligera, ma regola. La razionalità di fondo è quella di una politica nazionale-liberale, dove la sovranità statale è il punto di partenza, e il bilateralismo è lo strumento principale. Il motto non ufficiale di questa dottrina potrebbe essere: One State, One Model. Ogni relazione internazionale viene ridefinita senza modelli universali, ma su base specifica. Si tratta di un ritorno alla realpolitik, ma aggiornata all'era globale e commerciale. E, in un mondo tornato a misurarsi sulla forza e sulla strategia, e forse questo approccio è meno disordinato di quanto sembri.”
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