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La scalata del cardinal Prevost: il papabile Usa scelto dai latinoamericani
Oggi 04-05-25, 07:58
Dopo Francesco sarà molto difficile rivedere subito un Papa latinoamericano. Lo sanno bene i cardinali dell'America del Sud che in conclave rappresenteranno un blocco consistente quasi quanto quello degli italiani (17 contro 19), ma sicuramente più omogeneo. Con le sole eccezioni dell'uruguaiano Daniel Sturla, del brasiliano Orani João Tempesta e del cileno Fernando Chomalí, tutti gli elettori sono espressione della Chiesa in uscita cara a Bergoglio, sensibile alla cosiddetta teologia del popolo e all'agenda progressista. Mossi da questa consapevolezza, i latinoamericani hanno scelto di puntare su un nordamericano atipico: il cardinale Robert Francis Prevost. Nato a Chicago 69 anni fa, studi di teologia in patria e di diritto canonico a Roma, la sua storia è contrassegnata dalle esperienze in Perù prima nelle missioni dell'ordine agostiniano a cui appartiene e poi come vescovo di Chiclayo. Chi lo conosce lo descrive come un uomo schivo e con un carattere piuttosto equilibrato. Quest'ultima caratteristica è stata notata anche in questi quasi due anni a Roma, dopo che Francesco lo ha chiamato per guidare lo strategico dicastero per i vescovi e la Pontificia commissione per l'America Latina. Come nel caso di tutti i prefetti, però, non mancano su di lui anche giudizi meno entusiastici. In questi giorni di congregazioni il suo nome sta emergendo in maniera significativa e può contare sul sostegno importante Óscar Rodríguez Maradiaga. Il cardinale honduregno non entrerà in Sistina in quanto ultraottantenne ma conserva una certa influenza grazie al ruolo di «pope maker» svolto nel 2013 proprio in favore di Jorge Mario Bergoglio. Contrariamente a quanto si può pensare, Prevost non è un prelato debole e conosce benissimo l'arte del governo avendo ricoperto per ben due mandati l'incarico di priore generale degli agostiniani. La sua elezione avrebbe una straordinaria portata geopolitica: per la prima volta nella storia assurgerebbe al soglio di Pietro un nordamericano esaudendo almeno parzialmente il sogno del rampante cattolicesimo a stelle e strisce. È lui l'unico statunitense in grado di diventare Papa proprio perché molto poco «yankee». Lo aiuta, inoltre, il fatto di essere il solo tra i dieci elettori americani a non essere collocabile in uno schieramento. Il suo profilo non è vicino a quello di Timothy Dolan e Raymond Leo Burke, i preferiti da Donald Trump e dalla base Maga, ma l'elezione di uno statunitense darebbe comunque soddisfazione all'amministrazione repubblicana e contribuirebbe a rendere più distesi gli animi tra la Santa Sede e la Casa Bianca dopo le recenti tensioni sul dossier migranti. La sintonia di Prevost con l'America Latina aiuterebbe ad attenuare la tradizionale ostilità dei cardinali dei Paesi in via di sviluppo nei confronti dei candidati nordamericani e al tempo stesso lascerebbe a Trump la possibilità di rivendicare la presenza di un connazionale sul trono di Pietro. L'agostiniano ha il vantaggio di essere un progressista moderato, pur avendo dato prova di una certa saldezza dal punto di vista dottrinario in passato. Ad esempio su uno dei temi caldi qual è la possibilità di aprire all'ordinazione femminile, Prevost si è detto contrario sostenendo che «la clericalizzazione della donna non necessariamente risolve il problema, anzi potrebbe crearne uno nuovo». Tra una settimana l'ex prefetto per i vescovi era atteso nel Duomo di Albano per la messa di insediamento come cardinale titolare della diocesi suburbicaria. Rispetterà quest'impegno o lo vedremo a San Giovanni in Laterano per l'insediamento sulla Cathedra Romana?
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