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La triste parabola di Saviano: dagli eroi caduti al cono d'ombra. Ora usa Salvini per fare show
Oggi 26-06-25, 10:23
«Io gli ho stretto la mano e lui mi ha detto "vergognati". Maleducato, però fa niente». Parti da eroe anti camorra e finisci con qualcuno, incidentalmente il vicepresidente del Consiglio, che ti dà del maleducato. Triste parabola quella di Roberto Saviano, di cui ricordiamo le amarezze, consegnate qualche settimana fa al Corriere della Sera, asserisce di aver sbagliato tutto nella vita. Giudicare dall'esterno sarebbe da ditino alzato, dunque giammai. E però un minimo di radiografia ce la permettiamo, notando che sicuramente è l'errore esser diventato la parodia di un eroe civile, questo voler trasformare un processo subito a seguito di insulti pubblicati sui social in una sorta di calvario persecutorio da dissidente di regime. Tutto fantomatico, ovviamente. Perché in uno Stato di diritto, se insulti il prossimo è giusto che le tue parole siano verificate in giudizio. E robe come "ministro della mala vita" e altre dolcezze, che Saviano rivolse anni fa a Salvini, rientrano nella categoria. Lo scrittore, così come fece a suo tempo per un processo analogo per insulti a Giorgia Meloni (a seguito del quale è stato condannato dal Tribunale), ha provato a trasformare tutto questo in un raccontino fiction da regime totalitario. Ma siccome, per fortuna, non siamo né a Teheran né a Mosca o Caracas (dove ci sono i dissidenti veri), il tutto si è trasformato in un raccontino semi parodistico. Qualche sodale del mondo patinato giunto al tribunale di Roma ad assistere (Chiara Valerio, Nicola Lagioia, Kasia Smutniak), un po' di autobattage social come se fosse il Processo del secolo. E la dichiarazione post udienza che lui, no, non cambierebbe quanto scritto: «Riutilizzerei l'espressione "ministro della mala vita" che è di Gaetano Salvemini: ritengo di avere tutto il diritto di utilizzare questo paradigma per criticare Matteo Salvini». Bene, auguri a lui e al paradigma. Salvini, che si è beccato anche il "vergognati", di suo ha detto: «Ho ritenuto quei post offensivi da ministro, da cittadino, da segretario di partito. Sono abituato alla critica politica, ma espressioni come "amico della 'ndrangheta" non lo sono». Peraltro, Salvini racconta: «In famiglia, i figli hanno le spalle larghe, anche se, all'epoca, la bimba aveva 5 anni, e il ragazzo 15, e qualche problema ad andare a scuola, quell'accusa di essere "ministro della mala vita" lo ha portato». Secondo i canoni della convivenza civile, il ragionamento del leader della Lega non fa una piega. Dunque assistiamo a questo progressivo scolorimento dell'epopea savianiana, via via ammantata di moralismo e vittimismo forzato. Egli, che coraggiosamente sfidò i clan camorristici con un libro (e pazienza se si beccò anche una condanna per plagio per via di qualche articolo di giornali locali evidentemente non utilizzato secondo le normative sulle citazioni di fonti). Egli, che addirittura fu testato dai sondaggi nel lontano 2017, come ipotetico leader di quell'area a sinistra di un Pd che si era andato a sfracellare con l'avventura renziana. Finito tutto così, con la controparte in giudizio che ti dà del "maleducato". E per completare questa amara antologia viene utile ricordare la parabola infelice degli affluenti del fiume savianesco, da Mimmo Lucano a Aboubakar Soumahoro, anche loro bastioni del moralismo progressista zavorrati da guai giudiziari propri (Lucani) odi congiunti (Soumahoro), scivoloni e quel quarto d'ora di celebrità che sfuma man mano. E la vita è come un'ordalia, in cui talvolta ti immergi da aspirante eroe civile, e riemergi, semplicemente, da "maleducato".
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