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“Di quale Stato stiamo parlando?”. Ecco la vera posizione di Meloni sulla Palestina
Ieri 23-09-25, 13:05
Non è un “no”. È un “non ancora”. Ed è un “non così”. Giorgia Meloni, volando verso New York per partecipare all'Assemblea Generale dell'Onu, ha chiarito, in via informale, quella che è a tutti gli effetti una linea di prudenza, se non di buonsenso, su un tema delicatissimo: il riconoscimento dello Stato di Palestina. “Non sono contraria in linea di principio”, avrebbe detto la premier ai suoi collaboratori in volo come riporta il “Corriere della Sera”. Ma la domanda chiave – quasi brutale nella sua concretezza – è: “Di quale Stato stiamo parlando?”. In un momento in cui Paesi come Francia, Regno Unito, Canada e Australia si affrettano a riconoscere formalmente lo Stato palestinese – in molti casi senza che esista un governo stabile, un controllo del territorio effettivo o una visione condivisa del futuro – l'Italia si prende il tempo necessario per porsi una domanda di fondo: cosa vuol dire davvero riconoscere uno Stato, quando quel territorio è frammentato, sotto assedio e in parte controllato da un'organizzazione terroristica come Hamas? Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, giunto a Manhattan prima della premier, ha ribadito con chiarezza la linea del governo. “Noi siamo favorevoli al riconoscimento dello Stato palestinese – ha dichiarato – ma prima va costruito. Non possiamo fare un favore ad Hamas. Al momento uno Stato palestinese non esiste, serve un percorso politico, diplomatico e istituzionale serio. E noi ci stiamo lavorando”. Un concetto semplice ma decisivo: lo Stato non si dichiara, si realizza. E non può nascere sotto il controllo di chi rifiuta l'esistenza stessa di Israele, semina terrore tra i civili e sfrutta la disperazione per alimentare la guerra. Proprio in questo senso va letta l'apertura di Tajani a una possibile partecipazione italiana a una missione internazionale, nel caso di cessate il fuoco, per lavorare a un progetto di riunificazione tra Gaza e Cisgiordania, un'ipotesi oggi lontana, ma che richiede preparazione diplomatica e volontà politica. Non slogan. Un'idea già avanzata nei mesi scorsi: una forza sul modello Unifil, con presenza europea, capace di garantire sicurezza, monitoraggio e supporto alla ricostruzione, sempre che esista un interlocutore affidabile e legittimato. I riconoscimenti annunciati da Parigi e Londra, sostenuti da Bruxelles e da parte del mondo progressista, sono stati accolti con entusiasmo da una certa opinione pubblica, ma anche con perplessità da chi conosce le dinamiche del Medio Oriente e sa che non esistono soluzioni semplici a problemi così drammatici. Il governo Meloni sembra non voglia lasciarsi dettare l'agenda da una corsa al gesto simbolico. E il motivo è chiaro: non si può riconoscere uno Stato che, di fatto, non esiste. Non esiste un territorio omogeneo, non esiste una leadership unitaria, non esiste una capacità amministrativa funzionante. E – aspetto tutt'altro che secondario – non esiste ancora una distanza netta e definitiva da Hamas, né sul piano militare né su quello ideologico. È vero che 148 Paesi nel mondo hanno riconosciuto lo Stato palestinese, ma è anche vero che molti lo hanno fatto anni fa, in un contesto completamente diverso, e che oggi in molti stanno riconsiderando il valore effettivo di quel gesto. L'Italia, dal canto suo, non è isolata, ma semplicemente coerente con la sua storia diplomatica e con i valori occidentali di legalità internazionale, equilibrio e responsabilità. Del resto, se il riconoscimento automatico fosse la chiave della pace, avremmo già risolto la questione da decenni. Non mancano, in ogni caso, le pressioni interne. Una lettera firmata da alcuni ex ambasciatori italiani, rilanciata da ambienti della sinistra, chiede al governo di allinearsi alle posizioni di Macron. Si invoca il “gesto simbolico”, si parla di “giustizia storica”. Ma la politica estera non è un'operazione di coscienza. È costruzione paziente di condizioni reali. È anche capacità di distinguere tra vittime civili innocenti – che l'Italia aiuta concretamente, con evacuazioni mediche, sostegno umanitario e fondi alla ricostruzione – e organizzazioni armate che usano quei civili come scudi umani. L'approccio italiano è fatto di diplomazia, di pazienza, di rapporti consolidati sia con Israele che con l'Autorità nazionale palestinese (Anp), e di uno sforzo concreto per riportare la questione israelo-palestinese su binari negoziali seri. Meloni ha una linea precisa da seguire su Gaza: nessun cedimento alla logica dei titoli facili, nessuna ambiguità nei confronti del terrorismo, nessuna illusione sul fatto che la pace si dichiari per decreto.
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