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Leone e l'antico rito abolito da Bergoglio, l'ultima spallata al pontificato del predecessore
Oggi 30-06-25, 10:39
In occasione della festività liturgica (e romana) dei Santi Pietro e Paolo, Leone XIV ha dato l'ennesima spallata al pontificato precedente di Jorge Mario Bergoglio. La tradizione voleva infatti che in occasione della solennità che nello stesso giorno ricorda il primo Papa e l'Apostolo delle genti, entrambi martirizzati a Roma, il pontefice regnante imponesse agli Arcivescovi metropoliti nominati nell'anno in corso il pallio, quella striscia di lana bianca segno di comunione con il papato e simbolo dell'unità della Chiesa che adorna le spalle anche del Vescovo di Roma e che egli indossa dal momento in cui viene intronizzato. Dal 2015 e fino allo scorso anno, tuttavia, Francesco aveva totalmente stravolto questo simbolico rito, riducendo la cerimonia ad una semplice consegna (in una scatola sigillata stile Amazon) di questi importanti simboli di gerenza cattolica, stabilendo che la vera e propria imposizione avvenisse successivamente nelle singole diocesi di appartenenza dei neoeletti. Ancora una volta Prevost ha stupito tutti, riportando indietro le lancette dell'orologio ecclesiale e riportando in auge anche quest'antico uso: è il Papa che impone il pallio ai nuovi arcivescovi e lo fa solennemente nella Basilica di San Pietro il 29 giugno. Va anche evidenziato che questo atto precede di appena una settimana il ripristino da parte di Leone XIV della consuetudine, sempre bruscamente interrotta da Bergoglio, delle vacanze papali a Castel Gandolfo; il novello pontefice si trasferirà infatti il prossimo 6 luglio nella località castellana dove tutti i pontefici dal Seicento al 2013 hanno trascorso una meritata pausa estiva. Tra i numerosi metropoliti che ieri hanno ricevuto dal Santo Padre il pallio spiccano i nomi di diversi italiani, tra cui: Antonio d'Angelo, Arcivescovo de L'Aquila; Saverio Cannistrà, Arcivescovo di Pisa; Angelo Raffaele Panzetta, freschissimo di nomina a Lecce; Riccardo Lamba, titolare della diocesi di Udine; Gherardo Gambelli, Arcivescovo di Firenze. Per le grandi arcidiocesi sparse nel resto del mondo hanno ieri ricevuto l'imposizione del supremo simbolo di potestà il cardinale Robert Walter McElroy, titolare della sede capitolina di Washington ed acerrimo nemico di Donald Trump - spostato da Bergoglio da San Diego a Capitol Hill pochi giorni prima dell'insediamento del tycoon alla Casa Bianca – il porporato sudafricano Stephen Brislin, Arcivescovo di Johannesburg e altri sette titolari di diocesi statunitensi: Huston, Detroit, Kansas City, Boston, Milwaukee, Cincinnati e Omaha, tutti nominati da Francesco nel corso dello scorso anno in quella che da molti è stata ritenuta una vera e propria purga ai danni dei presuli americani di orientamento marcatamente conservatore. Nell'omelia Leone ha ricordato che «la storia di questi due Apostoli interpella da vicino anche noi, comunità dei discepoli del Signore pellegrina in questo nostro tempo. In particolare, guardando alla loro testimonianza – ha evidenziato il pontefice - vorrei sottolineare due aspetti: la comunione ecclesiale e la vitalità della fede». Leone XIV ha voluto anche ricordare che nonostante tra i due maggiori Santi della Chiesa vi siano stati vari alterchi e diverse visioni ecclesiali «la storia di Pietro e Paolo ci insegna che la comunione a cui il Signore ci chiama è un'armonia di voci e di volti e non cancella la libertà di ognuno. I nostri Patroni hanno percorso sentieri diversi, hanno avuto idee differenti, a volte si sono confrontati e scontrati con franchezza evangelica». Un evidente monito alle «correnti» della Chiesa di oggi e un chiaro invito a riporre le armi a coloro che, anche ad altissimi livelli, nei dodici anni di regno bergogliano si sono fatti la guerra senza esclusione di colpi.
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