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L'intervista all'esperto: “Siti sessisti? Ecco qual è il vero antidoto contro gli abusi sul web”
Oggi 02-09-25, 13:45
Picha.eu è stato ormai chiuso da qualche giorno. Sul sito dello scandalo erano finite immagini sessiste e spesso artefatte di personaggi politici, da Meloni a Schlein, donne dello spettacolo e giornaliste. E come per la pagina Facebook «Mia moglie», dove venivano condivise foto piccanti delle proprie compagne, per arrivare al ban è servito troppo tempo: «È il paradosso dell'era digitale - ha spiegato Andrea Lisi, avvocato che da più di 25 anni si occupa di diritto applicato al digitale e di data protection - Spesso c'è poca consapevolezza su questi fenomeni e siti del genere vivono in una zona grigia tra l'illecito e il palesemente illegale». «Le denunce ci sono - ha aggiunto il professore universitario - ma le procure sono oberate da diffamazioni e violazioni d'immagine: mancano risorse e personale. Così, finché non scoppia il caso mediatico, difficilmente si interviene». Prof Lisi, le leggi italiane ci sono. Perché non sono bastate? «Le norme ci sono, anzi forse sono persino troppe. Il punto è che non bastano senza strumenti di controllo e senza cultura digitale. Nel caso di Picha.eu alcune immagini erano di personaggi famosi, già pubblicate altrove. Ma il fatto di riutilizzarle in un contesto denigratorio le rende comunque illecite: il GDPR tutela anche dati resi pubblici, se usati con finalità diverse da quelle originarie. A ciò si aggiungono le norme sul diritto all'immagine, sul diritto d'autore e le fattispecie penali sul sexting e la pornografia non consensuale. Il problema vero è la scarsità di risorse: procure e Garante Privacy sono sottorganico e non riescono a intervenire con la necessaria tempestività». L'Italia da sola non basta. L'Europa deve agire compatta? «È fondamentale. Il web non ha confini nazionali» Serve un Europa forte, ma non troppo burocratica. L'eccesso di norme rischia di produrre l'effetto contrario, come diceva Tacito: “Corruptissima re publica plurime leges”. A ogni modo, l'Europa sta facendo passi avanti ma serve cooperazione internazionale, regole comuni e accordi. Il problema però è ancora più grande: i giganti del web hanno sedi negli Stati Uniti o in Cina. L'Ue ha una tradizione di tutela dei diritti diversa dal modello americano orientato al mercato e da quello cinese basato sul controllo sociale. Mettere d'accordo queste visioni è difficile, ma è l'unica strada». Bandire l'anonimato sul web, come proposto da Mariastella Gelmini, può essere una soluzione? «Ho forti dubbi. È vero che l'epoca dell'anonimato assoluto è tramontata: sempre più piattaforme richiedono verifica dell'identità. Ma spingere troppo in quella direzione rischia solo di spostare il problema altrove, nel dark web, dove queste pratiche continueranno indisturbate. Già negli anni '90, con i circuiti peer-to-peer, circolavano video amatoriali diffusi senza consenso. Il problema non è nuovo: la vera risposta è l'alfabetizzazione digitale, non la repressione cieca». Gelmini ha anche sottolineato come «dobbiamo pretendere che tutto ciò che è creato con l'IA sia immediatamente identificabile» … «In realtà lo prevede già l'AI Act europeo, che impone la trasparenza dei contenuti generati con IA. Il punto è che ogni misura di controllo può essere aggirata. Dobbiamo prepararci a usare l'intelligenza artificiale per smascherare falsi prodotti dalla stessa IA: foto e video deepfake possono provocare danni enormi, ma esistono già strumenti per riconoscerli. Anche qui, però, serve cultura digitale». Del rendere le piattaforme responsabili civilmente e penalmente dei contenuti cosa ne pensa? «Il Digital Services Act va in questa direzione, imponendo ai grandi operatori online l'obbligo di rimuovere i contenuti palesemente illeciti. È un passo avanti, ma non è privo di rischi: pur di evitare sanzioni, le piattaforme potrebbero censurare troppo, anche contenuti leciti o ironici. Bisogna trovare un equilibrio tra tutela e libertà d'informazione». Impedire che siti come “Picha.eu” e “Mia moglie” riaprano domani con un altro dominio è possibile o li rincorreremo all'infinito? «Purtroppo, rincorriamo i problemi senza avere strutture adeguate e non siamo abbastanza protetti. Servirebbero tribunali specializzati sulla lotta agli abusi digitali, al sexting e a tutte le forme di violenza online, e servirebbe un Garante per la protezione dei dati personali molto più forte, con personale adeguato a presidiare quello che accade in rete. Oggi, invece, abbiamo autorità sottodimensionate: poche decine di dipendenti in Italia contro centinaia in altri Paesi europei. In queste condizioni, è evidente che un sito come Pica.eu, chiuso oggi, potrebbe riaprire domani con un altro dominio e ricominciare daccapo». Se dovesse scrivere una Carta dei diritti e dei doveri digitali quale sarebbe il primo articolo? «Il diritto all'alfabetizzazione. Abbiamo strumenti potentissimi, ma li usiamo senza “patente”. Troppo spesso i cittadini subiscono promesse ingannevoli e non sono in grado di difendersi. La prima difesa è conoscere: solo così si può usare il digitale in modo consapevole».
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