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L'odio rosso inizia a scuola: "Appesa", i messaggi choc nella chat di classe
Oggi 03-10-25, 16:17
Quando le opinioni politiche diventano motivo di minacce, isolamento e paura, allora la scuola smette di essere palestra di democrazia e si trasforma in terreno di scontro. È quello che accade a “Sara” – nome di fantasia scelto per tutelare la sua identità – studentessa di un liceo della Toscana che paga ogni giorno sulla propria pelle il prezzo delle sue idee. Il clima di intolleranza e di astio che si respira nel dibattito pubblico italiano e nei social, specie in relazione alla causa palestinese, sta condizionando la sua vita da alunna e da adolescente politicamente impegnata. In certi luoghi della Penisola – racconta Sara - la scuola, che dovrebbe fungere da culla del pluralismo di pensiero, si sta caratterizzando invece come terra embrionale dell'ideale estremista. “La mia terra è sempre stata un feudo comunista. Qui andare contro corrente è sempre stato rischioso e chi la pensa diversamente deve essere alienato”. Sara ha subito delle minacce da parte di alcune sue compagne all'interno della chat del gruppo di classe, in quanto rea di militare nel movimento studentesco Lega Giovani e di opporsi alle occupazioni degli istituti scolastici e universitari che si stanno capillarizzando in tutta la Penisola. Anche il suo liceo è stato preso in ostaggio dai collettivi di sinistra. Sara ha denunciato la situazione attraverso un video pubblicato su Instagram, perché non vuole vedere leso il proprio diritto allo studio e quello di altre migliaia di studenti. Il video, andato virale nella sua provincia, le è costato caro: nelle chat di classe sono arrivate le prime intimidazioni, fino a una frase che l'ha segnata più di tutte – “Sara appesa” – scritta da una compagna, con un chiaro riferimento a una violenza fisica. Cosa voleva intendere? “Era un modo per farmi capire che dovevo essere messa a testa in giù per il video che avevo fatto. Mi sono sentita minacciata e attaccata per un pensiero politico diverso dal loro”. Non è il primo episodio di bullismo politico nei suoi confronti. Sara spesso nei corridoi viene ignorata, nemmeno degnata di un saluto. E percepisce una barriera anche rispetto ai suoi professori. Poi racconta un aneddoto sintomatico: già l'anno scorso, la stessa compagna aveva reagito male alla sua elezione nella consulta studentesca. Penne lanciate addosso, calci allo zaino, la porta della classe chiusa a chiave per impedirle di uscire. Sara non si sente serena. Negli ultimi giorni la mamma la accompagna e resta lì ad aspettarla al cancello. Lei, però, vuole continuare “a non restare in silenzio” di fronte a certi comportamenti. “Le manifestazioni violente devono finire” e “ci devono restituire il nostro diritto allo studio”, i suoi slogan. Il caso di Sara è il campanello d'allarme di un problema più grande: l'odio politico che serpeggia nei vicoli dell'attuale società, e che non riguarda più soltanto il mondo dei "grandi".
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