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Quei vertici di G7 e Nato con comunicati imbalsamati che segnano il funerale dell'Occidente
Oggi 22-06-25, 10:48
De profundis e campane a morto per i vertici internazionali. Ma rigorosamente con foto ricordo, cena e cotillons, come in uso nei funerali jazz di New Orleans. Con questi presupposti, a Evian nel 2026, che G7 verrà? Di quelli recenti che abbiamo visto finora si ricordano solo comunicati imbalsamati e passerelle con panorami mozzafiato, ma il respiro pulsante della funzione politica si è spento. Il G7 - così come gli altri mille vertici - non rappresenta più l'economia del mondo (meno del 30% del Pil globale), non regola i conflitti, non detta l'agenda globale. Nel frattempo, i Brics+ ,dei paesi emergenti, superano il 38% del Pil e continuano ad aggiungere posti a tavola. Il G7 in particolare è diventato come la spirale di Fraser, un'illusione che gira a vuoto. Più che un G7, sembra un GX: X come incognita, variabile impazzita. Perché ignoto è il numero effettivo dei partecipanti (6, poi 7, 8 con la Russia, di nuovo 7, salvo averne uno che arriva a 20), ma soprattutto ignote sono le finalità, evanescenti i metodi, nulli gli esiti. E allora, verso quale geometria stiamo andando? Un G4, con Stati Uniti, Cina, India e - se mai diventerà adulta - un'Unione Europea capace di superare il ruolo di banca multilaterale con bandiera blu? Un G2 USA-Vaticano, con papa Leone XIV, primo pontefice americano della storia, a fare da sponda morale all'impero d'Occidente? O un G1, con il solo Vaticano ad evocare ancora principi e valori in un mondo che ha smarrito entrambi? Oppure, più semplicemente, un G0: la dissoluzione guidata dalle big tech? Nessuna architettura. Nessuna sintesi. Nessuna coesione. Solo la legge del più forte, con giacca, cravatta, hacker, potenza di calcolo e droni. Nel frattempo, mentre il mondo reale avanza tra guerre dichiarate e non, il G7 vive scollegato, fuori sincro, fuori tempo massimo. Il vertice del 2025 a Kananaskis, tra i laghi canadesi, ha toccato il fondo dell'insignificanza. Il comunicato finale? Una lista di parole-spugna: “preoccupazione”, “unità”, “dialogo”, “sostegno”. Pensate da centinaia di diplomatici al lavoro inutilmente da mesi, per non scontentare nessuno. E per non impegnare nessuno. Una neolingua che serve solo a riempire il vuoto. Come una rana gonfiata da sé stessa, il G7 è passato dalla centralità globale al provincialismo autoreferenziale. Ogni ministro pretende il suo “mini G7” tematico, su dossier che non spostano nulla. È diventato un contenitore formale, una liturgia che si ripete solo per dimostrare che esiste ancora. Ma non esiste più. Come il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, il Wto, le reliquie di Bretton Woods: rovine istituzionali del mondo post-1945, ormai superate dalla realtà. Chi ha "smascherato" tutto questo? Donald Trump. Rozzo e brutale, ma anche spietatamente lucido. Nel 2018 lasciò in anticipo il G7 canadese per andare a Singapore da Kim Jong-un. Stracciò il comunicato in volo, umiliando Justin Trudeau con un tweet notturno. Da allora, il G7 non si è più ripreso. Anche se tutti continuano a sorridere e a sottoscrivere, come se quelle firme avessero ancora un peso. E ora, sette anni dopo, il Canada torna padrone di casa. Cambiano gli ospiti, ma la sensazione resta: un club che non comanda più nulla. Si parla di Kiev, di Gaza, di AI e tecnologie quantistiche. Ma mancano i protagonisti del potere vero che si è spostato altrove: Pechino, Delhi, Pretoria. Le decisioni globali non passano più da Taormina o Kananaskis. Non servono più scenografie pugliesi, bastano server cinesi. La Nato? Arranca, come ha detto con grande onestà intellettuale Guido Crosetto: l'ultimo liberale che Giorgia Meloni dovrebbe ascoltare di più. Il prossimo vertice all'Aja rischia di ripetere lo stesso schema: grandi sorrisi, piccoli risultati. Gli Stati Uniti oscillano tra isolazionismo e interventismo utilitaristico, pronti a infilarsi nei conflitti - come quello tra Israele e Iran - solo se c'è un dividendo immediato. Il multilateralismo esiste solo nei comunicati. L'Europa? Smarrita. Macron, indebolito. Merz, afono. Meloni, ancora abbagliata dal G7 italiano del 2024, quando l'arrivo a sorpresa di papa Francesco a Borgo Egnazia creò un sussulto. Gli unici felici? La famiglia Melpignano, padrona di casa, che ha visto Borgo Egnazia volare più in alto di Starlink. Eppure, già negli anni Ottanta, qualcuno aveva già capito tutto. Giulio Andreotti descrisse il G7 come «una conferenza stampa a più teste con un solo taccuino: quello di Washington». Ma fu Francesco Cossiga a cercare di rompere il copione: al G7 di Venezia del 1980 propose una vera apertura al Terzo Mondo, all'Opec, ai Paesi non allineati. Gli diedero del matto. Col senno di poi, era un realistico visionario. Ora quel mondo ‘fuori' è cresciuto. I Brics+ si allargano, l'Africa si rialza, l'India punta alla leadership. E noi, riuniti tra ex capiclasse attorno a un tavolo vuoto, crediamo che basti ancora uno sguardo tra Berlino, Parigi e Washington per cambiare il mondo. Mentre gli altri scrivono il futuro tra algoritmi e AI generativa, noi ci aggrappiamo a meccanismi sempre più obsoleti ed anacronistici. E persino il Vaticano, in questo deserto di visione e leadership, finisce per essere autorevolmente più moderno. Leone XIV - pontefice conservatore, globalamericano - incarna una forma di soft power inedita: niente eserciti, ma parole che pesano. E nel vuoto delle democrazie impaurite e smarrite, c'è chi inizia a chiedersi se il Pontefice non sia ormai l'unico vero leader dell'Occidente. Se non altro, è l'unico a credere davvero in qualcosa. E allora ha ragione Gianni Castellaneta - formidabile ambasciatore a Teheran e Washington - quando, con ironia morettiana, si chiede: «Meglio esserci o non esserci?». Trump, a modo suo, ha già risposto: meglio andarsene, facendosi notare. «Continuate pure la vostra cena», sembrava dire. «Io vado ad occuparmi dell'Iran» Un gesto che ha distrutto la coreografia del G7, inchiodando gli altri alla loro irrilevanza. I modi non sono stati certo aristocratici, ma nel merito - tocca ammetterlo - aveva pienamente ragione. E Giorgia Meloni, dopo aver sedotto il palcoscenico internazionale, cosa dovrebbe fare? Forse occuparsi un po' di più dell'Italia. Dove, ad esempio, mancano ancora scandalosamente i vertici di partecipate pubbliche fondamentali come Sace, Simest, Invitalia e molte altre. Meno voli e più Piazza Colonna perché, oltre ai gabbiani, dalle finestre di Chigi si vedono svolazzare troppi corvi soprattutto attorno alla legge elettorale.
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