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Schlein cambia pelle al Pd per piacere a Conte. Sempre più gelo con i riformisti
28-02-2025, 10:27
In ginocchio da te, in pratica la svolta morandiana di Elly Schlein. La segretaria infatti offre alla direzione riunita ieri un menù sempre più orientato a soddisfare il palato esigente di Giuseppe Conte, una sorta di Pd a 6 stelle. O per continuare il gioco di parole un movimento «CinquestElly»: il vero cemento armato del campo largo, per reggere alle scosse di una coalizione eternamente in fieri.I piatti forti della degustazione usciti dalla scrupolosa cucina del Nazareno sono l'Ucraina ed il Jobs act, temi che dividono fortemente il Pd, con i riformisti attestati su posizioni molto diverse da quelle della segretaria. «Noi non siamo con Trump e col suo finto pacifismo e non siamo con l'Europa per continuare la guerra. Siamo con l'Europa per costruire una pace giusta», argomenta la segretaria chef, con blazer celeste e maglietta bianca. Un evidente passo in avanti verso il posizionamento di Giuseppe Conte, l'ospite fantasma al tavolo, che racconta in modo inequivocabile come sia finito l'ultimo braccio di ferro con l'imperturbabile avvocato di Volturara Appula, che nei giorni scorsi aveva lodato l'interventismo di Donald Trump, provocando parecchi mal di pancia. Una resa, in nome di una sorta di isola che non c'è, probabilmente l'unico modo per tenere insieme le molte differenze interne e dentro al campo largo sulla politica internazionale. D'altra parte la linea di Campo Marzio è molto simile, se non sovrapponibile a quella di due indipendenti di lusso, che Elly Schlein ha voluto portare a Bruxelles: Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency e Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire. Altrettanto significativo il posizionamento sul Jobs act. «Noi supporteremo i referendum sul lavoro e sulla cittadinanza, con rispetto di chi non li ha firmati tutti ma la posizione del partito deve essere chiara. Tra quei referendum c'è quello sul Jobs act. Oggi siamo in un'altra stagione, nel Paese e nel partito, e una discussione l'abbiamo fatta, per fare passi avanti», mette le cose in chiaro Elly. Una lunga filippica che crea una linea di demarcazione netta: ora c'è il mio Pd, in tutto e per tutto diverso da quello che c'era prima, siamo finalmente dalla parte giusta, prima di me avete fatto leggi sbagliate e ci avete allontanato dal nostro mondo. Con un'unica concessione: non vi chiederò abiure. Prova a fare il ventriloquo l'ex ministro Andrea Orlando, che pure era al governo con Matteo Renzi, quando la legge sul lavoro fu approvata: «Dobbiamo essere chiari nell'adesione al referendum, per non mettere a rischio il riposizionamento che ci ha consentito di ricostruire un rapporto con un pezzo del mondo del lavoro». Ovvero sempre più a sinistra, a braccetto con Maurizio Landini, che è l'altro anello di congiunzione con l'ex presidente del Consiglio. Dice la sua anche Gianni Cuperlo: «Ho sempre pensato che quella riforma fosse sbagliata. Non sarà una campagna facile, ma è giusto farla». Cosa succederà? Che sul feticcio della legge renziana (di fatto smobilitata dalle sentenze della Consulta ), si giocherà una partita a perdere in partenza (difficilissimo raggiungere il quorum del 50%). Con il Pd largamente sdraiato sulla mobilitazione della Cgil e la minoranza che non parteciperà a "referendum inutili", come lascia presagire la senatrice Simona Malpezzi nel suo intervento in direzione. Una trappola per Matteo Renzi, padre del provvedimento, che però offre un'altra prova d'amore alla segretaria: “il jobsact è comunque il passato, e noi dobbiamo pensare al futuro. Le ultime parole sono ancora dalla numero uno del Nazareno: «Non è che non vedo le difficoltà e le differenze e sono la prima a mettere i puntini sulle "i" ma se si esce della bolla social, si vede come questo lavoro di condivisione porta frutti». Insomma da in ginocchio da te ad uno su mille ce la fa.
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