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Serviva Orban per ricompattare il campo largo. Calenda e Schlein rubano la scena a Sala
Oggi 29-06-25, 07:41
«Orgoglio». È la parola d'ordine del “Budapest Pride”, la manifestazione, che sta facendo discutere mezza Europa, perché ritenuta “illegale” da Viktor Orban. Il primo ministro ungherese minaccia conseguenze legali per chi vi parteciperà. Si parla di sanzioni che possono arrivare a un anno di reclusione. Motivo per cui quella che doveva essere la classica “festa per i diritti”, finisce col diventare un comizio contro le politiche del premier magiaro. Tutte quelle sinistre, prive di argomentazioni, dunque, non possono rinunciare all'assist inatteso. Tant'è che a occupare la città delle terme non sono i soli omosessuali, le lesbiche o le drag queen, come è sacrosanto che sia, ma tanti leader progressisti in cerca di visibilità. I nostri compagni ovviamente non rinunciano a fare la parte del leone. Mettono addirittura in soffitta le eterne divisioni che inondano le cronache politiche. La prima ad arrivare non può che non essere la prima inquilina del Nazareno. Accompagnata dal suo esperto in materia Zan e dai suoi fedelissimi Benifei, Corrado e Strada, fa sentire la voce del suo Pd. Una nota del Nazareno parla addirittura di cori per Elly e per il suo immancabile ritornello. «Siamo qui –urla la segretaria tra i manifestanti –per la libertà e la democrazia. Tu non puoi vietare l'amore per legge. Non puoi cancellare l'identità delle persone, il nostro corpo. Vietare il pride è una violazione dei diritti costituzionali». Un coro su cui si ritrova pure quel Carlo Calenda che, nello stivale, prova tutti i giorni a fare lo sgambetto al campo largo, strizzando l'occhio a Meloni. «L'Europa – tuona il leader di Azione –si fonda sullo Stato di diritto, la tutela del diritto di manifestare pacificamente e di amare chi si vuole, indipendentemente dal sesso. Oggi sono a Budapest per testimoniare che i liberali non accettano in silenzio la deriva proputiniana e autoritiaria di Orban». Sembra quasi essere più rivoluzionario di quella Ilaria Salis, che pur avendo lanciato la mobilitazione nazionale, stavolta, non può essere in strada col megafono in mano perché teme «ritorsioni e strumentalizzazioni». A fare le veci di Alleanza Verdi e Sinistra, stavolta, c'è il segretario Angelo Bonelli. «Una battaglia di libertà –tuona contro l'autoritarismo. Siamo al fianco di chi lotta per l'uguaglianza contro ogni discriminazione. L'amore non si vieta». Il grande assente della parata è il solo capo del Movimento 5 Stelle. Giuseppe Conte, dicono i suoi sottovoce, preferisce tenersi lontano dalla grande ammucchiata. Tra i pentastellati s'intravedono soltanto Alessandra Maiorino, Gabriella Di Girolamo, Elisa Pirro e Marco Croatti. Questi ultimi si avvicinano alla regina delle battaglie ambientaliste Greta Thunberg, in Ungheria per dire no a «un attacco fascista». Si tengono, invece, ben lontani da Ivan Scalfarotto, in rappresentanza di Italia Viva e dai giovani radicali di Matteo Hallisey. Ognuno, comunque, cerca di ritagliarsi il proprio spazio minuto di notorietà. C'è chi incontra il sindaco della capitale Karacsony e chi, invece, si fa uno scatto davanti a qualche cartello anti-patriota. L'importante è essere tra i 35mila di Budapest o meglio attestarsi quella causa dei diritti, anche se questi in Italia non valgono per tutti, vedi gli israeliani omosessuali a cui, da Milano a Napoli, è stato vietato di partecipare ai Pride solo perché connazionali di Netanyahu.
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