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The Pitt, la serie tv erede di E.R. ribalta gli schemi del medical drama
17-10-2025, 14:06
Il suono dei monitor, un respiro che si spezza, un'infermiera che urla “libera”. La macchina da presa non stacca mai, perché in The Pitt non c'è tempo per respirare. Per chi sentiva la mancanza dei pronto soccorso e delle sale operatorie, la medicina torna in tv senza filtri: reale, cruda, contemporanea, nella serie del momento. Qui l'ospedale non è più il luogo degli eroi, ma il simbolo di un sistema che scricchiola. Dimenticate i medici idealisti di E.R. o le passioni chirurgiche di Grey's Anatomy: in The Pitt la corsia è un campo di battaglia quotidiano, fatto di turni infiniti, risorse scarse e una stanchezza che diventa la vera protagonista. Torna Noah Wyle, storico volto della serie che negli anni '90 reinventò il genere, ma il suo sguardo non è più quello pulito ed entusiasta del giovane dottor Carter. Oggi interpreta un medico maturo, disilluso e lucido, immerso nel caos del Trauma Medical Center di Pittsburgh -“The Pitt”, come lo chiamano gli infermieri- dove ogni caso è urgente e ogni minuto conta. È un ritorno non alla nostalgia, ma alla realtà: quella di chi lavora ogni giorno nelle crepe di un sistema sanitario al collasso. Come ogni buon medical drama, The Pitt ci trascina nel vortice di emozioni, tensioni e conflitti che si consumano dietro le porte di un pronto soccorso. Ci fa sentire l'ansia, la fatica e il confine sottile tra vita e morte che scandisce ogni turno. Ma, diversamente dai suoi predecessori, la serie rinuncia ai meccanismi classici della serialità: niente colonna sonora emotiva, pochi archi narrativi, quasi nessuno sviluppo psicologico. È una scelta di stile, non una mancanza. Qui la spinta narrativa non è romantica né personale, ma intrecciata al ritmo stesso della corsia. Perché in ospedale, come nella serie, non c'è tempo per raccontarsi: resta solo quello per agire, mantenere la lucidità e continuare a fare ciò che si può, finché si riesce. The Pitt racconta la medicina di oggi senza eroismi, mostrando la parte più fragile del mestiere, la fatica, l'empatia, il dubbio attraverso quindici episodi intensi, girati quasi in tempo reale: ogni puntata copre un'ora di turno in pronto soccorso. Se da un lato la serie colpisce per realismo e densità emotiva, dall'altro rischia talvolta di alzare troppo il tono della denuncia. Alcune scene sembrano costruite più per sottolineare che per raccontare, come se The Pitt avvertisse il bisogno di ricordarci costantemente quanto il sistema sanitario sia al limite o quanto il personale medico sia vittima di logiche politiche e amministrative. È un intento nobile, sia chiaro. Ma quando il messaggio prende il sopravvento sull'emozione, la narrazione perde respiro: lo spettatore smette di vivere la corsia con i medici e finisce per osservarla da fuori, come in un dibattito ben recitato. Eppure, The Pitt è più potente quando tace: quando lascia che siano i silenzi, le occhiaie, i gesti automatici a raccontare l'usura del lavoro in corsia. In quei momenti non c'è retorica, solo verità. Ed è lì che la serie ritrova la sua forza più autentica: farci vedere, senza bisogno di spiegarci tutto.
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