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"Vai a combattere". "Deliri". Luttwak-Di Battista, scontro in tv
Oggi 17-09-25, 09:57
Un nuovo, rovente confronto è andato in scena nello studio di “DiMartedì” su La7. Da un lato Alessandro Di Battista, dall'altro Edward Luttwak, politologo di fama internazionale. Tema, serio, al centro del dibattito: Gaza, le responsabilità dei governi, il confine tra informazione, propaganda e diritto internazionale. Ma non sono mancate anche frasi taglienti, accuse dirette e un livello di scontro personale che ha superato il dibattito politico per diventare quasi sfida etica. Nel corso della puntata, oltre alle affermazioni forti – come quella di Luttwak secondo cui “bambini e neonati palestinesi hanno lanciato razzi”, prontamente contestata da Di Battista con un “ma vergognati!” – sono emerse anche dichiarazioni che hanno immediatamente sollevato polemiche. “Perché il giovane Di Battista non va in Ucraina a combattere? Non stare qui a parlare, vai a combattere in Ucraina!”. Questa frase, rivolta da Luttwak al suo interlocutore, aveva probabilmente lo scopo di mettere in discussione la sua coerenza, insinuando che uno che critica le guerre debba essere pronto a farne parte attiva. “Sono deliri che lasciano il tempo che trovano, esiste il diritto internazionale”, la risposta di Di Battista che ha cercato di ridimensionare affermazioni percepite come estreme, riportando tutto al principio delle regole. Non si è trattato, in ogni caso, di un semplice dibattito dialettico. Molto rapidamente l'incontro ha preso le sembianze di una disputa accesa. Di Battista ha usato toni forti, a tratti urlati, suscitando l'ira dell'interlocutore. Luttwak ha commentato ironicamente della necessità di “urlare per farsi sentire”, quasi a rimarcare che il confronto stava degenerando sotto il profilo del tono. Il conduttore Giovanni Floris ha cercato di mantenere il filo, ma la vivacità dei due ospiti ha rischiato di sovrastare spesso il discorso, portando all'emergere di slogan, affermazioni nette e contrapposizioni radicali. Nel corso dello scontro, Di Battista ha puntato il dito anche verso i governi occidentali, gli Stati Uniti, e l'Unione Europea, accusandoli di complicità o almeno di silenzio nel sostegno militare e politico a Israele. Luttwak, invece, ha cercato di difendere il punto di vista di chi ritiene che una parte delle critiche internazionali non tenga conto delle complessità strategiche, storiche e politiche della regione. Ha sottolineato la necessità di una lettura che non semplifichi troppo, accogliendo l'idea che giudizi morali stringenti possano essere usati come strumenti di propaganda. È presumibile che lo scontro non sia destinato a restare confinato alla tv. Nei prossimi giorni è probabile che ciascuno dei due protagonisti diffonda dichiarazioni supplementari sulle proprie versioni dei fatti, per ribadire le ragioni della propria posizione. La rilevanza di simili dibattiti è alta, non solo per il tema trattato – la guerra, i diritti civili, il ruolo dell'Italia e dell'Europa – ma perché contribuisce a plasmare l'opinione pubblica in un momento di forte polarizzazione. Quando accuse come “Stato terrorista” e “crimini contro l'umanità” vengono lanciate in prima serata, l'eco mediatica è assicurata. Il confronto tra Di Battista e Luttwak è l'ennesima dimostrazione di quanto il discorso pubblico sulla guerra in Medio Oriente sia ormai inframmezzato da tensioni che vanno ben oltre il mero conflitto militare: si tratta di identità, di morale, di memoria, di chi decide cosa sia “verità” e cosa invece narrazione aggravata. E in questo contesto, le trasmissioni televisive rischiano di trasformarsi non solo in tribuna, ma in campo di battaglia per la legittimazione delle parole.
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