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Veneziani e la modernità del poeta Pasolini: "Il suo forte no al conformismo"
31-10-2025, 10:10
Mezzo secolo da quella terribile notte in cui Pier Paolo Pasolini trovò la morte rappresenta una tappa utile a collegare l'oggi con ieri, cercando di cogliere l'attualità di un intellettuale che incarnò molti profili. Marcello Veneziani, scrittore e prolifico uomo di pensiero, di Pasolini ha letto, scritto, parlato in conferenze. Scavando molto, senza mai scivolare in quella celebrazione molle tipica di tanti esegeti di PPP in servizio permanente, i quali lavorano di retorica ma non colgono il punto vero di un'opera e un messaggio che sono assai complessi. In giorni caldi nei quali è appena uscito il suo nuovo libro («Nietzsche e Marx si davano la mano», Marsilio) Veneziani accetta di ragionare con il Tempo su percorsi e riflessi giunti fino a oggi dell'intellettuale ucciso 50 anni fa. Veneziani, le leggo l'incipit di un suo articolo: «Pasolini è il Santo Patrono degli Intellettuali italiani e di tutti i profeti scontenti». La statua del Santo qui da noi cementa una comunità ma a essa ci si appella quando non si sa più cosa fare. È così anche in questo caso? «Pasolini è santificato ma poco letto, molto frainteso, e rimosso nei suoi lati veramente scandalosi, la sua critica al mondo moderno e il suo amore per la tradizione e la civiltà contadina, la sua denuncia del nichilismo sociale e dell'omologazione, dell'aborto e dell'esibizionismo gay, dell'istupidimento televisivo e del consumismo; e poi la sua accusa contro il fascismo degli antifascisti». Pasolini in Italia, Baudrillard in Francia. A cavallo tra gli anni Sessanta e i Settanta si criticava la nascente società dei consumi. Eppure il dinamismo economico di allora non era base di rivincita sociale per il popolo delle periferie di cui aveva denunciato le condizioni? «Sì, ma Pasolini che era un antimoderno apocalittico, vedeva il lato oscuro, la perdita di identità, di coscienza critica, il diffondersi di un egoismo compulsivo...preferiva l'ingenuità dei poveri e degli antichi all'opulenza finta dei consumisti e dei moderni». Pasolini criticava il consumismo, però lui stesso ha posto le basi per diventare icona della società delle immagini: le foto in posa, la moda, l'auto sportiva. È una contraddizione? «C'era in Pier Paolo Pasolini un'insopprimibile vanità, un malcelato narcisismo. E c'erano in lui molte contraddizioni: attaccare la borghesia sul principale giornale della borghesia italiana, andare in tv per condannare la stessa tv, essere in vetrina e criticare le vetrine, amare i poveri ma non smettere di frequentare circoli intellettuali neoborghesi o perfino radical chic... Nei film, in alcune produzioni letterarie, persino nell'esplorazione fisica dei «bassifondi della vita», che forse lo portò alla morte, troviamo in Pasolini una costante radiografia del male. Cosa può esserci utile, di questo, nella società che viviamo oggi? «Pasolini fu un critico lucido, implacabile del male oscuro della nostra società e del nostro tempo. Ma fu dentro quel male, ne fu testimone e martire ma in fondo anche agente e complice, non ebbe la grazia di oltrepassarlo». C'è una citazione ricorrente, quella sulla contrapposizione tra i figli del popolo in divisa e i figli della borghesia nella contestazione del '68. È mutuabile anche per le piazze di oggi? «In linea di massima direi di sì, anche se oggi si preferisce omettere questa pulsione populista e pauperista di Pasolini. Ma la sua denuncia vale ancora, anche se il mondo è radicalmente cambiato e gli anni '70 sono ormai la nostra preistoria». Viviamo in un'epoca dove le appartenenze politiche sono determinate molto dalle suggestioni. Pasolini è mancato nel cuore del '900 e della Guerra Fredda. Che strumento ci fornisce per leggere la politica di oggi? «Ci fa capire i presupposti da cui deriva l'odierno declino della politica, delle idee e delle appartenenze: dal cinismo, dall'egoismo, dalla cecità di quegli anni deriva il vuoto e la miseria dei nostri anni, e la perdita di umanità».
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