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Ciccotti: altro che commedie da ridere, la comicità è una cosa seria
Oggi 14-03-25, 09:19
Carlo Verdone ha il dono di trasformare una conferenza in un nuovo genere: una sorta di “comunicazione spettacolo”, in cui lo spettacolo non risulti eccessivamente teatralizzato, ma sia finemente speculare, ossia parli di come funzioni lo spettacolo stesso; e la comunicazione rimanga nei confini della sobrietà culturale e non sconfini nel finto accademismo delle allusioni connotative (che rischiate di incontrare a certe presentazioni di libri “importanti”). Dunque, non aspettatevi che Carlo Verdone tenga una “lezione” di cinema leggendo un testo preparato, ancorché all'interno di un contesto accademico, come la Luiss di Roma, qualche giorno fa. Invitato a riflettere sul tema “Comicamente etici”, è andato a braccio. Ad ascoltarlo, Romana Liuzzo, presidente della Fondazione Guido Carli, ideatrice della lectio d'autore, il prefetto di Roma, Lamberto Giannini, il sottosegretario di Stato al ministero della Cultura Lucia Borgonzoni, la vice presidente del Senato, Licia Ronzulli, docenti e studenti della nota università di via Nomentana. Chi ha avuto la fortuna, tra noi anziani, di conoscere Mario Verdone, storico del cinema e dello spettacolo, scrittore e poeta, e Rossana Schiavina, docente di lettere ed esperta di musica classica, lei romana lui senese (ma anche “romano” dall'età di ventiquattro anni), genitori di Carlo, Luca e Silvia, quando ascolta Carlo Verdone non può non tracciare dei collegamenti tra i genitori e il noto attore e regista. QUESTIONI DI FAMIGLIA Il non prendersi sul serio, ma l'essere serio, l'amore per la musica, l'umorismo romano alla Trilussa, debbono qualcosa a Rossana. L'inesauribile interesse per ogni forma di arte, dalla pittura, al teatro, alla letteratura al cinema («mio padre, a 17 anni, mi regalò la tessera del cineclub romano “Filmstudio”: vai a vedere il cinema d'autore»), l'umorismo toscano, ascoltato per anni nella bella casa di Lungotevere dei Vallati 2, vengono da Mario. La cultura di famiglia, diremmo, è il 20%, del mondo della finzione cinematografica che Carlo Verdone avrebbe poi inventato negli anni Ottanta. Ma il rimanente 80% della creatività artistica nel dar vita ai suoi personaggi, dove l'ha presa Carlo? Egli lo ha rivelato diverse volte, e lo ha ripetuto agli studenti della Luiss: «Osservando la realtà intorno a me. Ancora oggi, amo fare colazione al bar, nel mio quartiere, e sempre capitano incontri con persone che mi chiedono un selfie, o che gli faccia “allunga e gambe, ritira 'ste gambe” – da Bianco Rosso e Verdone, n.d.r. – per “n'amica mia che sta all'ospedale, mo' je a passo!” allungandomi il telefono. Osservo ogni giorno, con attenzione, il mondo intorno a me». Dopo l'introduttivo scoppiettante racconto degli incontri quotidiani, inframezzato dalle imitazioni delle voci, del lessico, del dialetto dei suoi fan (imitazioni che torneranno, scatenando altre risate, per Sergio Leone, Mario Cecchi Gori, Enzo Trapani), Carlo indossa la giacca, non il frack, del professore-raccontatore. E qui parte la sua personale carrellata del genere comico e dell'umorismo nel cinema italiano. «Già negli anni Cinquanta, per esempio, con il Fellini de Lo sceicco bianco, abbiamo del sano umorismo. Poi, naturalmente, negli Sessanta, con grandi attori e registi, il nostro cinema entra nella commedia con notevoli opere». Eccoci agli anni Ottanta. Insieme ad altri giovani attori, quali «Francesco Nuti, Roberto Benigni, soprattutto, Massimo Troisi, cercavamo un nuovo umorismo per raccontare la crisi del maschio italiano, all'interno della commedia, dopo il decennio del femminismo degli anni Settanta. (...) Davanti a noi non c'era più il maschio predatore e rimorchiatore di donne, che metteva le corna o le riceveva (...) Di fronte avevano una donna che non conoscevamo, più intelligente, fattiva dinamica. (...) Poi, naturalmente l'umorismo si è evoluto. Oltre al personaggio centrale, mattatore, diversi registi, hanno dato spazio anche ad altri attori, in film corali. Nel mio caso, con Compagni di scuola (1988), ho voluto fare un passo indietro nella presenza del personaggio principale, e dare spazio ad altri personaggio che rappresentavano i diversi tipi della società del periodo; personaggi in cui gli spettatori si riconoscevano. (...) Oggi le sceneggiature, per essere apprezzate da un pubblico internazionale, e deve essere così, si muovono su questa linea: debbono dare spazio a più personaggi centrali. Pensate al bel successo di Perfetti sconosciuti (2016) di Paolo Genovese, che è stato visto in tutto in mondo». Verdone ha poi aggiunto che il rinnovamento dell'umorismo e del comico nel nostro cinema, «debbono molto anche ad attori-autori della nuova generazione, come Ficarra e Picone, davvero bravi: ma anche Checco Zalone, un attore e regista che stimo molto, e non capisco perché alcuni continuino a scrivere che non c'è simpatia tra noi due». ARRIVANO LE DONNE Prima di chiudere la sua conferenza-conversazione Carlo Verdone ci ha tenuto a sottolineare come il cinema italiano degli ultimi anni sia cambiato molto con l'ingresso nel cinema di diverse registe donne, che «con la loro sensibilità arricchiscono il cinema anche nella commedia». Ha ricordato il grande successo «non so quanti milioni di incasso, tipo 400», di questi giorni, in Cina, di C'è ancora domani di Paola Cortellesi, «anche se qui il tema è un argomento sociale, serio, quello del diritto delle donne al suffragio e alla ribellione al maschilismo». Recentemente ha visto alcuni episodi della serie L'arte della gioia, tratta dall'opera di Goliarda Sapienza, diretta da Valeria Golino, «e debbo dire che Valeria è proprio brava come regista. I miei complimenti».
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