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Estero
È tempo di difendere chi non è allineato col pensiero dominante
Oggi 17-09-25, 09:46
L'assassinio di Charlie Kirk è manifestazione estrema di una strategia che, dietro il gesto e le motivazioni ideologiche di chi l’ha ucciso, nasconde pratiche di violenza organizzata poco attenzionate, e non solo negli Usa. L’allarme è strutturale: fino a che punto la rete di proselitismo, catalogazione e incitamento precede un omicidio? Un fatto è ormai inoppugnabile, confermato anche dai silenzi e dalle reazioni assolutorie. Uccidere chi non si allinea nasce dall’illusione di una superiorità morale che autorizza ogni cosa: impedire dibattiti, colpirne uno per educarne cento, giustificare la violenza se “viene dalla parte giusta”. È la stessa logica che, da decenni, avvelena il dibattito italiano, alimentando aggressioni contro chiunque sia catalogabile come “di destra” e mascherando i comportamenti intimidatori con l’esigenza irrinunciabile della protesta civile. Il fatto nuovo è che oggi la lotta “rivoluzionaria” investe una pericolosa “tecnologia della vendetta”: dossieraggi online, raccolte e diffusioni di dati personali, schedature su base territoriale, siti che fungono da mappa per ritorsioni, pressioni sui luoghi di lavoro, invettive telematiche che diventano aggressioni reali, minacce e censure per commenti online, segnalazioni di “chi va colpito” almeno sul piano reputazionale. Tutto serve a creare un clima di intimidazione. Fin troppo sottovalutato. Nei rari casi in cui il fenomeno è accertato da inchieste parlamentari o giudiziarie non si producono effetti concreti. Si tende a ridurre tutto a degli “haters” isolati e a sminuire la pericolosità del meccanismo. E così si concima il terreno su cui germoglia la violenza, troppo spesso orchestrata da gruppi con legami diretti o indiretti a centri ideologici transnazionali. La verità è che siamo tutti esposti. La vita e libertà di chi è percepito come pericoloso “eterodosso” sono quotidianamente condizionate dalla minaccia di essere schedati, ricattati omessi fuori gioco.Dietro le narrazioni di spontaneità operano organizzazioni capaci di amplificare ogni attacco contro i non allineati, a qualsiasi latitudine. Ignorarlo significa non vedere che la libertà di parola, priva di conseguenze personali o professionali,non è garantita a tutti. Serve allora una risposta netta e a più voci, che investa la sicurezza: indagini sulle reti che compilano liste di proscrizione emettono alla gogna liberi cittadini colpevoli di avere espresso opinioni differenti; smantellamento dei canali di ritorsione; repressione dei responsabili. Esiste poi una responsabilità culturale. Le élite intellettuali che costruiscono narrazioni di pura delegittimazione devono iniziare a misurare le conseguenze delle proprie parole e azioni. Chi detiene responsabilità istituzionali non può limitarsi a condanne simboliche: deve dar prova di includere i non allineati, anziché isolarli e ostracizzarli platealmente, e deve collaborare con le autorità per esercitare un controllo attivo sulle reti di odio politico che attualmente operano nella impunità più assoluta. Infine, la responsabilità politica. Da chi è al governo ci si aspetta fermezza e rigore, con gli strumenti costituzionali disponibili, contro i promotori, più o meno occulti, di liste punitive e campagne di odio, individuandone anche eventuali collegamenti con strutture istituzionali.Così si tutelalo spazio pubblico come luogo di confronto, altrimenti lo si trasforma in un campo di rieducazione e sterminio simbolico, tacitamente legittimato. Siamo tutti esposti. Dalla nostra reazione dipende se resteremo liberi di parlare o se la voce dissidente verrà estromessa dalla sfera pubblica,anche fisicamente, come purtroppo accade. Difendere la libertà significa anche smascherare chi la usa come copertura per la violenza organizzata.
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