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Esclusivo: le carte che smontano le bufale su Almasri
Oggi 08-11-25, 05:56
Libero ha preso visione di alcuni documenti che rispondono a una domanda cruciale sulla vicenda che ruota attorno a Osama al Najem Almasri, da due giorni in stato di fermo in seguito al mandato di arresto emesso dalla procura generale libica. La domanda è questa: la richiesta di estradizione delle autorità di Tripoli era davvero giunta al governo di Roma il 20 gennaio, quando l’ufficiale era rinchiuso nel carcere di Torino, dopo l’arresto avvenuto il giorno precedente e prima di essere rimpatriato? A palazzo Chigi sostengono di sì, e spiegano che questo ha avuto un peso nella decisione di espellere Almasri il 21 gennaio, in quanto soggetto «pericoloso». Esponenti e media di sinistra replicano che è una menzogna e che in quella data il governo italiano non sapesse nulla delle intenzioni dei magistrati libici: Giorgia Meloni e i suoi ministri volevano solo liberare il torturatore; poi, per fortuna, il procuratore tripolitano ha provveduto a fare giustizia, chiedendone l’arresto e facendo fare una «figuraccia» alle autorità italiane. Scrive Repubblica: «Una bugia, quella di palazzo Chigi, evidenziata dal Tribunale dei ministri prima e dalla Corte penale internazionale poi», perché la nota del 20 gennaio «non avrebbe potuto avere alcun effetto. La richiesta arrivò soltanto due giorni dopo e comunque era inefficace, visto che non faceva riferimento ad alcuna proposta di arresto, ma soltanto a una generica inchiesta in corso». Giuseppe Conte, con il suo lungo curriculum da giurista, spiega che per Almasri «non c’è neppure una condanna in Libia, quindi non ci potrebbe essere una richiesta di estradizione». Tutte ipotesi sbagliate. L’istanza di estradizione c’era ed era arrivata il 20 gennaio, come dimostra uno dei documenti che Libero ha visionato e pubblica in questa pagina. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44905427]] È la traduzione dall’arabo del documento «urgente» e «riservato» che l’ambasciatore di Tripoli a Roma, Muhanad S. A. Younus, ha inviato al ministero degli Esteri riguardo all’arresto di Almasri. «Ho il piacere di allegare alla presente», scrive Younus, «la lettera pervenuta dall’Ufficio del Procuratore Generale dello Stato di Libia, datata 20 gennaio 2025, indirizzata al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, Repubblica italiana, relativa alla richiesta di “estradizione di un cittadino libico”». Quella giunta a Roma il 20 gennaio, dunque, era una formale domanda di «estradizione». Basta leggerla, del resto, per capire che non si trattava di una comunicazione informale, vaga e incompleta, bensì di un documento ufficiale recapitato tramite canali diplomatici dagli organi statuali libici. Dettagliato e motivato anche nella parte in cui la procura di Tripoli sostiene di essere «l’autorità responsabile delle indagini su crimini di guerra e crimini contro l’umanità» di cui è accusato Almasri, e chiede all’Italia di non dare seguito al mandato di arresto emesso dalla Corte dell’Aia. Una richiesta valida sotto ogni aspetto del diritto internazionale. Pervenuta mentre la Cpi inviava a Roma un documento incongruente, al punto che gli stessi magistrati che lo avevano scritto hanno dovuto farne una seconda versione. Insieme ad altre valutazioni, questo ha spinto il governo italiano a rispettare il cosiddetto “principio di complementarietà”, uno dei pilastri dello Statuto di Roma, che istituisce e regola la Corte penale internazionale: se un tribunale nazionale sta già indagando o processando una persona per gli stessi crimini, la Cpi non può intervenire. Quando il tribunale dei ministri, nella richiesta di autorizzazione a procedere per Nordio, Piantedosi e Mantovano, distingue tra «la prima nota verbale dell’ambasciata libica datata 20 gennaio 2025» e la «richiesta di estradizione pervenuta il 21 al ministero degli Esteri e solo il 22 gennaio a quello della Giustizia», fornendo alla sinistra l’argomento principale con cui attaccare il governo, sbaglia quindi su un punto fondamentale: la «prima nota» era già, a tutti gli effetti, la richiesta di estradizione. Fu in quello stesso 20 gennaio che il governo italiano seppe della richiesta d’estradizione inviata da Tripoli. L’ambasciatore libico l’aveva inviato al ministero degli Esteri italiano e da lì il suo contenuto era stato diffuso nei canali di comunicazione interni all’esecutivo. Libero ha preso visione di uno scambio di messaggi tra ministeri, relativo alla «Richiesta di estradizione di un cittadino libico sotto inchiesta nazionale», avvenuto alle 13.03 del 20 gennaio. Ed è inevitabile che subito ne siano giunti al corrente i servizi di sicurezza e chili comanda. Il fatto che l’istanza di estradizione sia stata protocollata al ministero della Giustizia solo il 22 gennaio, quando Almasri era già stato rimpatriato, è quindi ininfluente e non toglie nulla all’elemento centrale di questa storia: la richiesta era arrivata il 20 gennaio e la sua esistenza fu subito nota al governo. Quando questo ha rispedito Almasri in Libia, sapeva benissimo quali fossero le intenzioni della procura di Tripoli nei suoi confronti.
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