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Flotilla a Venezia: ai Leoni d'oro trionfa la retorica pro-Pal
Oggi 07-09-25, 07:13
È stato un fine settimana eccezionale per studiare il comportamento degli intellettuali, con un po’ di tempo si potrebbe scrivere un libro sul “mi si nota di più se dico o non dico, se ci sono o sparisco, se sto nel coro o se assisto alla messa?”. La morte di Giorgio Armani e la serata finale del Festival del cinema di Venezia sono foto da incorniciare nell’album di famiglia della sinistra pensosa al cocktail e afflitta al check in. Prima di tutto, abbiamo assistito alla metamorfosi dei cinematografari sulla gondola in “flotillanti” che fanno rotta verso Gaza. Se conoscete qualcuno che crede che i destini del Medio Oriente dipendano dai sentiti appelli di Benedetta Porcaroli e Toni Servillo, chiamate l’ambulanza. Ne serviranno parecchie, in ogni caso, perché in laguna si è consumato il festival di Gaza e - mi perdonerà il fratello Pietrangelo Buttafuoco - ma non si sono sentite tutte le voci, di sicuro non quella degli ebrei. Per due volte ho udito il cardinale Pierbattista Pizzaballa raccontare la sua visione (e versione) del mondo, ma non ho sentito la voce del rabbino Riccardo Di Segni o altri esponenti della comunità ebraica che tra un mese esatto ricorderà la strage del 7 ottobre. Tra trenta giorni, i cinepacchisti di Venezia avranno l’opportunità di fare la cosa giusta, ricordare le vittime di Hamas, la caccia agli ebrei, i bambini sgozzati, le donne stuprate e ammazzate, i vecchi sfuggiti ai campi di concentramento nazisti durante la Seconda guerra mondiale che non sono riusciti a evitare la morte per mano delle belve islamiste di Gaza. Come è triste Venezia, come sono conformisti i cervelli fini. L’applauso in sala è automatico quando è il momento di Giorgio Armani, ma il sottotesto del tributo è quello dell’appropriazione indebita dell’anima del morto, dello stravolgimento della sua biografia. L’Armani trasformato in un Che Guevara della giacca destrutturata, uno dei momenti più ridicoli della storia del giornalismo italiano, uno smarchettamento per la maison del Giorgio Nazionale, con interviste copia-incolla da un giornale all’altro, parole d’ordine passate di redazione in redazione come cablogrammi di un necrologio precompilato. L’Armani “democratico e antifascista” non è la morte della moda, è il giornalismo che si suicida con l’arma del ridicolo. È il Copione Unico dell’intellettuale che recita il conformismo islamista dell’utile idiota di Hamas. I crocieristi per Gaza che ballano sul ponte e gli appelli, santo cielo che appelli, per sostenere la pace e sprofondare, dopo un alcolico passaggio da Cipriani, nel più cupo e esilarante antisemitismo. Appelli firmati, ma non in mio nome, sia chiaro, dicono i firmaioli. Mi è venuto in mente il film “La terrazza”, di Ettore Scola, una banda di sfigati democratici travolti dal grande scazzo. Con una differenza tra ieri e oggi: sono passati da Scola allo scolapasta in testa.
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