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Garlasco ci manda in tilt: lo sconcerto di noi italiani
Oggi 27-09-25, 11:27
Garlasco non è più un piccolo Comune della provincia pavese, forse col senno di poi non lo è mai stato. Garlasco è il buco nero della coscienza nazionale, Garlasco è un luogo ancestrale eppure contemporaneo come lo sa essere solo la cronaca al suo stadio brutale, non-luogo del divenire caotico che travolge tutte le (piccole) certezze che si sono dati gli uomini consorziati in questa società che si chiama Repubblica italiana. Il diritto come bussola vagamente inter-soggettiva e riconoscibile, un patto di fiducia minimo tra i controllati e i controllori (gli amministratori della giustizia), perfino la logica elementare. Scordatevi Parmenide, a Garlasco: l’essere è ma può anche, in qualunque momento, non essere. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44288460]] È ormai uno spaesamento collettivo, quello degli italiani di fronte agli ultimi sviluppi intorno all’omicidio di Chiara Poggi, in senso letterale: sensazione diffusa di non appartenere a un Paese cementato da un’unità di senso. Indagato l'ex procuratore di Pavia Mario Venditti per corruzione in atti giudiziari nell'inchiesta sull'orrendo assassinio avvenuto il 13 agosto 2007: secondo la procura di Brescia, sarebbe stato corrotto per scagionare in passato Andrea Sempio. L’abbiamo scritta così, dritta per dritta come da lancio d’agenzia, perché almeno su questo è difficile per chiunque dare torto all’avvocato di Stasi, Antonio De Rensis: è un’ipotesi accusatoria talmente grave che è improba da commentare. Nonché l’ennesimo cigno nero di una storia che non è mai vissuta di normalità. A partire ovviamente dalla genesi, dalla mattanza innominabile sul corpo e sull’anima di una ventiseienne che stava ancora dando del tu al destino. Un pugno di realtà, quell’esistenza annegata nel suo stesso sangue, sciaguratamente rimosso dalle rispettive “curve” mediatiche che hanno trasformato una storiaccia efferata di cronaca nera in un derby paracalcistico. Ma si è sempre trattato di due minoranze chiassose, in mezzo la maggioranza silenziosa dei cittadini/lettori/telespettatori è stata via via in balìa dell’unica reazione razionale: lo sbigottimento, misto a un’incipiente nausea. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44290110]] LUOGHI COMUNI In principio, qualunque racconto onesto passa da quest’ammissione preliminare: fu il cosiddetto “sistema dei media” (espressione ottimistica, più che un sistema spesso è un rimpallo acefalo di luoghi comuni) a irrorare le viscere collettive. Alberto Stasi era stato fermato da mezz’ora ed era già “il biondino dagli occhi di ghiaccio”, “il freddo bocconiano”, quello “senza emozioni” (questa testata, è agli atti, fu tra le pochissime a costituire eccezione). Una mostrificazione preventiva che oggi rischia seriamente di riverberarsi in una speculare stroncatura lombrosiana di Andrea Sempio: non si è imparato nulla, si è solo cambiato mostro, esistenze come figurine interscambiabili al discount dell’indignazione permanente. Arrivarono poi le due assoluzioni di Stasi, il ribaltamento nell’appello-bis e il procuratore generale della Cassazione che chiese infine l’annullamento della condanna (smentito dai giudicanti, una rarità assoluta). Tonnellate di legna a ravvivare il fuoco del ragionevole dubbio, a maggior ragione nel Paese di Cesare Beccaria. Per (non) tacere delle alterazioni al computer di Alberto che avrebbero cancellato l’alibi, dell’orario della morte ballerino e probabilmente di una danza ad hoc, del cadavere girato con annessa cancellazione dell’impronta dell’assassino che avrebbe scritto la parola fine prima che iniziasse questa sarabanda di romanzi gialli spesso mal scritti. Oggi lo sbigottimento, e basta farsi un giro online per constatarlo, è anzitutto quello di fronte a un ragazzo chiuso in cella senza che venisse placato il sussulto tutto umano del dubbio. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44277893]] TRACCE E FIGURE LETTERARIE Poi è arrivata la nuova inchiesta, annunciata troppo e troppo presto come l’Armageddon, quando anzitutto chi non aveva mai smesso di coltivare il dubbio non avrebbe dovuto involversi in dogmatismi opposti. L’impronta 33, o meglio il reperto 33, sparato come decisivo a reti unificate, poi trascolorato a fotografia e inevitabilmente scivolato nella guerra relativista delle perizie e delle controperizie. Sono sorte nel frattempo vere e proprie figure letterarie, su tutte l’avvocato Lovati, nominalmente difensore di Andrea Sempio, spesso nella pratica (anche televisiva) immaginifico evocatore di piste alternative e complotti perfino internazionali (i quali, se avessero una consistenza, dovrebbero essere scaraventati sul tavolo degli inquirenti anziutto dalla difesa dell’attuale indagato, non può evitare di pensare l’italiano sbigottito). Unica certezza: la cancellazione di qualsiasi certezza. Di modo che mano a mano che la nuova inchiesta avanzava, emergevano lacune drammatiche della vecchia, senza che si spalancasse però il punto di svolta. E allora ad ogni trascuratezza o peggio contaminazione (sì, ce n’è una dose abnorme in questa storia, anzi forse essa stessa è una gigantesca contaminazione logica e fattuale) aumentava la mole già sconvolgente di dubbi sulla condanna di Stasi, ma non s’affacciava un elemento che significasse un nome preciso, un cognome preciso, una trama precisa. Non c’è alcuna trama, a questo punto, c’è solo un rilancio continuo dell’assurdo, è una terra incognita che nessun Kafka ha già esplorato per noi, la realtà ha sopravanzato spietatamente il romanzo. Fino all’ipotesi, di più, all’accusa formale inascoltabile: magistrati in vendita per poche migliaia di euro. Comunque andrà (il garantismo vale anche per Venditti, ovviamente), alla fine di tutto, se mai ci sarà, rischia di non rimanere intatto nemmeno un simulacro di Giustizia. Sbigottiti, speriamo rimanga possibile un frammento di verità, con la minuscola, che sarebbe tantissimo. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44283487]]
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