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Giustizia, l'ultimo duello in Senato
Oggi 29-10-25, 10:34
L’ultimo miglio della riforma che renderà legge la separazione delle carriere tra magistrati e giudici, è cominciato ieri pomeriggio in Senato. E dai toni, si è già capito che sarà la battaglia decisiva di questa fine legislatura. Per la maggioranza, come per l’opposizione. Non proprio di fine legislatura se, come ha detto proprio ieri il ministro della Giustizia Carlo Nordio, il referendum, che può essere chiesto nei tre mesi successivi all’approvazione definitiva (domani mattina), si potrebbe tenere «tra fine marzo e metà aprile». E non è escluso che sia la stessa maggioranza ad attivarsi per chiedere il referendum. La preoccupazione della maggioranza, infatti, è che non si trasformi, come ha detto ancora Nordio, in un quesito «Meloni sì, Meloni no, come hanno fatto con Renzi», anche perché questo comporterebbe un’umiliazione della magistratura». E se vincesse l’opposizione, «probabilmente la vittoria se la intitolerebbe la magistratura». Per questo il Guardasigilli è tornato a chiedere di tenere i «toni bassi» anche perché, ha ricordato, la separazione delle carriere «esiste in tutto il mondo». E per questo si punta a fare il referendum il prima possibile, per allontanarlo dalle elezioni politiche. I toni, però, anche ieri, sono stati tutt’altro che bassi. Francesco Boccia, capogruppo del Pd al Senato, durante l’assemblea dei gruppi dem, convocata sulla riforma che ieri ha iniziato il suo cammino finale, ha spiegato che è il disegno di legge della maggioranza è parte di un disegno più ampio, di cui fa parte anche il premierato: «Riduzione dei contrappesi, marginalizzazione del Parlamento, svuotamento degli organi di garanzia», in pratica «pieni poteri nelle mani del capo, eletto direttamente, che si rivolge al popolo». La separazione delle carriere, in questo senso, è una riforma che punta ad «accentrare ogni potere» in quello esecutivo. Per questo, la prima mossa del Pd, ieri, è stata muscolare: iscrivere tutti i senatori nella discussione generale. Dall’altra parte, quella della maggioranza, si è cercato di mantenere la discussione sul merito, smontando la discussione da significati che vanno oltre le questioni tecniche. Ma per le opposizioni la tentazione di sfruttare l’occasione per dare la spallata al governo è troppo ghiotta. Per farlo la strategia è una: caricare la riforma di un senso più ampio. Ecco, allora, Elly Schlein: «La domanda per gli italiani è molto semplice cosa fa questa riforma per migliorare la loro vita? Niente». La separazione delle carriere, spiegava ieri, c’è già di fatto. L’obiettivo vero è «incidere sugli equilibri che la Costituzione mette a garanzia dei diritti dei cittadini». E campale, questa riforma, è per il M5S: «A questo governo», diceva ieri Giuseppe Conte, «dà fastidio un principio che è un cardine del nostro ordinamento: i pm fanno parte del corpo della magistratura e dunque hanno tutte le garanzie di autonomia e indipendenza che spettano ai giudicanti». Il disegno, continuava Conte, «è fare in modo che i potenti di turno non siano più sotto l’azione della magistratura». In pratica, «è il disegno di Licio Gelli» (l’ideatore della P2). [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:44758597]] In questo clima è iniziata la discussione generale al Senato. Per Avs è intervenuta Ilaria Cucchi, spiegando che «questa non è una riforma a favore dei cittadini», ma «un attacco frontale alla giustizia». Unico a difenderla, tra le opposizioni, è stato Carlo Calenda, ricordando al Pd che la separazione delle carriere «non solo era nelle tesi dell’Ulivo, ma anche nella mozione Martina», dunque «non potete venire a raccontarmi che chi sostiene questa riforma è un golpista perché questo è inaccettabile». Dario Parrini, Pd, ha parlato di «attacco tracotante al potere giudiziario» e di volontà, da parte della maggioranza, di «spadroneggiare, ignorando i limiti della Costituzione». Si «colpisce la Costituzione» e si «umilia la magistratura». Intanto il presidente dell’Anm, Cesare Parodi, ha fatto sapere che il referendum fosse perso e male sarebbe pronto a dimettersi, «sarebbe doveroso».
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