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Global Sumud Flotilla, la missione umanitaria per rompere l'assedio a Gaza
Oggi 01-09-25, 14:53
صمود — Sumud è una parola che in arabo significa fermezza, resistenza, perseveranza. Un sì ostinato alla vita, alla dignità, alla possibilità di restare. Sumud è continuare ad abitare una casa anche quando ti intimano di lasciarla. È mandare i figli a scuola anche se le aule sono macerie. È piantare un albero pur sapendo che forse non vedrai mai l’ombra che farà. Presa da sola, la parola è un sussurro. Pronunciata insieme, da migliaia di voci, diventa coro, diventa vento e marea. E la marea, crescendo, si fa onda. La sera del 30 agosto, a Genova, quell’onda ha cominciato a spingere. Dal quartiere di Sampierdarena fino al porto antico, un serpentone di persone ha occupato la sopraelevata. Non c’era spazio tra un corpo e l’altro: anziani in carrozzina, bambini nei passeggini, ragazzine e ragazzini di ogni origine del mondo che camminavano fianco a fianco,senza paura, fiaccole strette tra le mani, cellulari accesi a rischiarare la notte. Sui balconi sventolavano bandiere palestinesi, le finestre si illuminavano come fari. La città, dopo aver raccolto 260 tonnellate di aiuti per Gaza, si mostrava intera, compatta, decisa a non voltarsi dall’altra parte. Al porto antico, mentre cominciavano gli interventi per raccontare il senso della missione La Global Sumud Flotilla, la più grande missione umanitaria navale mai organizzata, la sopraelevata era ancora piena di voci. E giù, tra i moli, le prime tre barche lasciavano l’ormeggio: due nella notte, una all’alba. Una quarta partiva da La Spezia. Barchecariche di tutto ciò che oggi a Gaza manca: farina, acqua, medicinali. Davanti a loro, il mare; dietro di loro, l’incitamento di cinquanta mila persone, la pressione di un’intera città trasformata in vento. Più o meno nelle stesse ore anche a Barcellona partiva una flottiglia prendeva corpo e colore. Sulle lamiere delle navi, Laika ha dipintouna donna che tende il braccio verso l’orizzonte, mentre alle sue spalle si dispiega la bandiera palestinese come una lunga scia d’acqua e di sangue. È un’immagine che non consola: chiama. Non invita a contemplare, ma a muoversi, a seguire quella rotta. «Qualcuno ha detto che la Flotilla Sumud è un fallimento e non sarebbe dovuta esistere: è vero», ha dichiarato Laika. «Non doveva esserci questo terribile genocidio, né questa marea di persone che mi emoziona e mi toglie il fiato per la loro forza nel resistere, mettendosi in pericolo. Ho voluto lasciare una traccia, un messaggio nel posto giusto». Il gesto dell’artista si inserisce in un momento drammatico. Gaza è allo stremo: il Programma alimentare mondiale e l’OMS confermano che oltre mezzo milione di persone sono già in condizione di fame estrema, mentre i bombardamenti continuano a colpire quartieri e campi profughi. In questo scenario, la flottiglia appare come un atto tanto fragile quanto radicale: una flotta civile che si oppone al blocco, rivendicando non solo la consegna degli aiuti ma la legittimità di un principio elementare, quello di non lasciare morire di fame una popolazione. Laika lo sa e rilancia conparole che pesano come pietre: «Israele e il suo governo, con la complicità dei governi occidentali, vogliono cancellare ogni traccia di questo popolo: a Gaza con una "soluzione finale"che richiama le pagine più buie della storia europea, e in Cisgiordania con gli attacchi dei coloni e gli espropri di terre. Non possiamo permetterlo. Questa spedizione è lo specchio di un mondo che si ribella e scende in piazza contro la barbarie. Il messaggio è chiaro: bisogna scegliere da che parte stare. La scia che lascia la donna palestinese rappresenta tutti noi: una marea di umanità che non si fermerà finché il popolo palestinese non avrà pace e uno Stato». Laika ha disseminato sulle barcheanche una costellazione di poster storici: Liberazione – la partigiana che prende per mano una palestinese –, Ni una menos, Justice 4 Awdah, dedicato all’attivista ucciso a Masafer Yatta da un colono israeliano. È un ponte simbolico fra resistenze diverse, un atlante di lotte che si guardano allo specchio e riconoscono di appartenere alla stessa storia. Le immagini, come le fiaccole di Genova, sono gocce che si sommano. Hanno parlato gli organizzatori Music for Peace e pure i camalli del Calp. I portuali hanno giurato: se gli attivisti non torneranno sani e salvi da questa missione, fermeranno tutto. Non è una metafora: è la tradizione operaia di questa città che si intreccia con la memoria delle resistenze passate e con la solidarietà concreta di oggi. Non con c’è nulla di più concreto infatti di quelle donne e quegli uomini coraggiosi che si stanno mettendo in viaggio con sacchi di farina caricati una notte di fine agosto da mani callose e da quelle di giovani che non voglio starsene con le mani in mano. Nulla di più reale di quelle 260 tonnellate di aiuti donate da una città che non vuole assistere impotente alla fame di due milioni di persone. Il diritto internazionale umanitario parla chiaro: i soccorsi devono passare. Non è una concessione, è un obbligo. Bloccarli è un crimine. Ed è per questo che la flottiglia è legittima. È giusta, perché contrasta la morte con il pane. È necessaria, perché riempie il silenzio dei governi con la voce dei cittadini. La notte di Genova, mentre le imbarcazioni lasciavano il porto e la sopraelevata era ancora gremita di gente in cammino da Sanpierdarena e arrivata da tutta la città, era impossibile non sentire che questa comunità compatta, i suoi passi, le luci accese alle finestre sono già un modo di rompere l’assedio. Ora bisogna tener alta l'attenzione sulla missione della Sumud Flottiglia perché raggiunga Gaza e porti aiuti ai palestinesi.
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