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Grillo, la tragedia di Beppe è familiare e anche politica: ora è davvero tutto finito
Oggi 23-09-25, 10:16
Se otto anni vi sembran pochi... La richiesta con la quale si è concluso in prima istanza (ora ci sarà l’appello) il processo a Ciro Grillo e ai suoi amici accusati del più terribile dei reati, lo stupro verso una giovane donna, va al di là di ogni aspettativa. Una vera tragedia per i giovani accusati perché la loro vita non sarà più la stessa di prima, per i familiari, soprattutto per la vittima, a cui è stata pure tolta un bel po’ di quella gioia di vivere che dovrebbe accompagnare la giovane età. Di fronte a cotanto destino, la pietà umana impone il silenzio e il rispetto e a parlare è giusto che sia la sola giustizia degli uomini, che non è quella di Dio e pertanto è anch’essa imperfetta. Ma è indubbio che la tragedia per Beppe Grillo è non solo familiare, ma anche politica. E possiamo ben dire che con essa si consuma definitivamente una parabola che già lo aveva visto negli ultimi tempi in una fase discendente, sopraffatto da quel Conte che era stata una sua creatura e che di forza ha preso in mano il movimento. Considerata dal punto di vista della sua conclusione, quella vicenda, che nel bene e forse ancor più nel male ha segnato più di tre lustri di vita politica nazionale, assume il sapore di una dolorosa nemesi. Che chi ha concepito il partito della legalità cada per mano della legge, e poco importa che sia per l’interposta responsabilità di un figlio, ha qualcosa della tragedia antica. E Grillo ha vissuto sicuramente quel conflitto interiore fra la legge e l’amore filiale, fra l’ideale della legalità che aveva trasposto in politica e la testarda volontà paterna di difendere fino all’ultimo l’innocenza del figlio, che lo ha consumato. Quello che abbiamo visto all’opera in questi ultimi anni era un leader indebolito, poco lucido, a un certo punto quasi rassegnato non solo alla cessione di tutto il suo potere, ma addirittura alla trasformazione del progetto politico che aveva concepito insieme a Gian Roberto Casaleggio, dandogli anima e corpo. Come comico, Grillo già da tempo aveva perso il suo smalto: corroso dall’astio e dal livore – prima verso la “casta”, poi anche verso molti dei suoi – non aveva quel dono della levità e anche dello spontaneo sarcasmo che era proprio di un comico della sua staffa. Non faceva più ridere. Ma ultimamente non convinceva neppure in politica, non suscitava gli entusiasmi di un tempo, schiacciato da un sistema molto più forte di lui, il quale ha rivoltato lui come un calzino, e non viceversa come pretendeva fare. Paradossale la lenta trasformazione del suo movimento anti-casta in una casta che più casta non si può, pronta a sacrificare in più occasioni sull’altare dell’opportunismo politico ogni ideale di “purezza” e molto presunta “diversità”. Paradossale ancor più la lenta trasformazione antropologica di molti dei suoi suoi, da “uomini qualunque” e “senza qualità” in sottopancia dei poteri nazionali e locali. Era già, all’inizio del fattaccio, un Grillo fortemente azzoppato, quello che negava ogni evidenza e catalogava a una “bravata” di giovani o a una “marachella” l’accaduto. O che cercava di dipingere la vittima come una poco di buono. Arrivando addirittura a dire: «Arrestate me, non lui». Ogni capacità di leadership, ogni carisma, cedeva il posto ad una arrendevolezza sostanziale e addirittura al silenzio. Era per aggraziarsi giudici, che sembravano far pendere sul suo capo la più pesante spada di Damocle concepibile? O era perché il leone ferito non sempre diventa più pericoloso, ma spesso si trasforma in un docile animale da cortile? [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:43964742]] A tutti è sembrato che Grillo non avesse più voglia di combattere, sopraffatto dalla vita che aveva tentato di agguantare come la volpe, più che il leone, sa fare, fiutando gli umori più reconditi che covano nella pancia di una nazione. Un progetto sicuramente populistico, della più pura schietta, quello grillino. E perciò certamente da tener conto e non da minimizzare, come per tempo hanno fatto le vecchie e consumate classi dirigenti del nostro Paese. Ma da incanalare e volgere in positivo, in un’ottica di costruzione e non di sola distruzione. È qui che il progetto grillino è venuto meno, ha mostrato di essere non un progetto della nazione ma un progetto che, fra bonus e redditi di cittadinanza, sottraeva risorse e ci portava verso il baratro. Credo che il colpo di grazia al vecchio Grillo lo abbia dato infine il governo di centrodestra, che il momento della giusta ribellione contro il vecchio lo ha fatto proprio, ma lo ha convertito in idee, progetti, credibilità internazionale per l’Italia. E qui tutti i cerchi si sono chiusi, il pubblico e il privato. La fine di Grillo è personale, e ci dispiace, ma è anche e soprattutto politica.
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