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Iacometti: i dolori del giovane Elkann, chiacchiere e zero impegni
20-03-2025, 08:36
Tutto si può dire tranne che John Elkann si sia sottratto al suo impegno. Dopo mesi di rinvii e di attese, il rampollo della famiglia Agnelli si è finalmente presentato in Parlamento affiancato da un nutrito drappello di manager (il responsabile del mercato Europa, Jean-Philippe Imparato, la responsabile del mercato Italia, Antonella Bruno, il numero uno di Alfa e Maserati, Santo Ficili, e la responsabile acquisti Monica Genovese) e in due ore e mezzo di audizione ha travolto i presenti con una valanga di dati, spiegazioni, scenari e prospettive obiettivamente difficile da mandare giù e metabolizzare in poco tempo. La sensazione, però, è che nel turbinio di informazioni snocciolate senza soluzione di continuità il presidente di Stellantis abbia omesso di comunicare con chiarezza quello che un po' tutti volevano sentire: il piano del gruppo per fermare la desertificazione degli impianti, far ripartire la produzione e riportare in fabbrica i lavoratori. Al posto dei dettagli è arrivata una promessa (che a dire il vero aveva già fatto pure Carlos Tavares): «Ci siamo preparati all'audizione con grande attenzione perché per noi l'Italia ricopre un ruolo centrale». Buone intenzioni che però, ha fatto capire Elkann, si scontrano con un quadro complessivo tutt'altro che rassicurante. E qui il nipote dell'Avvocato ha messo in sequenza una serie sterminata di fattori negativi che vanno dal costo dell'energia esorbitante in Italia, al rischio dei dazi Usa (a cui solo qualche giorno fa aveva detto di essere preparato), dal problema dell'elettrico (perché non puoi imporre ai clienti la macchina da acquistare), alle multe Ue sulle emissioni, dalla mancanza di colonnine per la ricarica alla concorrenza cinese, dall'incertezza normativa e chi più ne ha più ne metta. La sintesi è che il 2025 sarà di nuovo «un anno difficile», che i livelli di produzione non sono prevedibili perché «dipende da quanto si vende» e che la gigafactory di Termoli resta congelata fino a data da definirsi, perché «i soci in ACC hanno dichiarato che preferiscono temporeggiare, dare priorità sull'unica gigafactory in Francia sulla quale il governo ha messo risorse estremamente importanti». Come si possa dire che sono confermati tutti gli investimenti in Italia con tutte queste incognite è difficile da capire, ma Elkann non ha avuto problemi a farlo. Così come non ha avuto problemi a rivendicare con orgoglio, malgrado lo scenario devastante che si presenta oggi sotto gli occhi di tutti, il ruolo determinante del gruppo nel sostegno all'economia del Paese nel corso degli ultimi decenni. Per smentire le accuse e fare in modo che il bilancio dare/avere tra Italia e azienda non sia più «un tema divisivo», Elkann ha sfoderato una ricerca della Luiss secondo cui «per ogni euro di valore creato da Stellantis, se ne generano 9 nel resto dell'economia». Dal 2004 al 2023 «abbiamo prodotto 16,7 milioni di autovetture per un valore di quasi 700 miliardi, calcolando effetti su filiera e ricadute il valore complessivo negli ultimi 20 anni sale a 1.700 miliardi». In questi 20 anni, ha proseguito, «sono stati pagati 38,9 miliardi di stipendi, abbiamo pagato 14 miliardi di imposte. La spesa per investimenti in R&S in Italia è ammontata a 53 miliardi, a fronte di contributi pubblici pari a 1 miliardo». Numeri che bisognerebbe incastrare con quelli diffusi nelle stesse ore da Unimpresa, che parlano di circa 18,68 miliardi di risorse pubbliche tra contributi diretti, incentivi, prestiti garantiti dallo Stato e cassa integrazione ricevute dal 2000 ad oggi, di 10mila lavoratori licenziati tra il 2021 e il 2023, di 16,4 miliardi di dividendi distribuiti tra il 2021 e il 2024, di cui 2,7 miliardi alla Exor, la holding di famiglia. Ma si tratta di minuzie. La verità, ha detto Elkann, è che l'Italia dovrebbe dire grazie agli Agnelli (lui compreso ovviamente), perché «venti anni fa l'azienda lottava per la sopravvivenza e oggi è fra i primi costruttori al mondo» e «senza la Fiat e Stellantis l'auto in Italia sarebbe scomparsa da tempo come l'informatica dopo l'Olivetti e la chimica dopo la Montedison». Una spartito un po' difficile da seguire, quello di El kann, che ha prodotto un guazzabuglio di reazioni impossibile da riassumere. Per qualcuno ha confermato il cambio di passo, per altri ha preso di nuovo in giro gli italiani. C'è chi lo accusa di non aver aggiunto nulla a ciò che già si sapeva, chi pensa che dovesse chiedere scusa per le delocalizzazioni e chi invece ne ha apprezzato la schiettezza e l'ottimismo. Qualcuno, infine, ha parlato di «strategia gattopardesca», forse andando più vicino di tutti alla verità.
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