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Liliana Resinovich, siamo alla svolta: l'ipotesi agghiacciante
Oggi 15-12-25, 10:17
Quattro anni dopo, il caso di Liliana Resinovich è ancora lì, in attesa di giustizia. La donna resta non solo nella memoria collettiva, ma è sospesa quindi in un limbo giudiziario che continua a inquietare Trieste e non solo. Era la mattina del 14 dicembre 2021 quando la pensionata di 63 anni scomparve nel nulla. Il suo corpo venne ritrovato il 5 gennaio successivo, in un boschetto dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni: avvolto in due grossi sacchi neri, la testa chiusa in altri due sacchetti, fissati al collo con un cordino. Un’immagine che ha segnato per sempre questo giallo italiano. Da allora si sono susseguite indagini, perizie, esami, una riesumazione e soprattutto un clamoroso ribaltamento: dall’ipotesi iniziale del suicidio a quella dell’omicidio. Un cambio di rotta sancito dal Gip Luigi Dainotti, che respinse la richiesta di archiviazione avanzata dalla pm Maddalena Chergia, indicando in oltre venti punti la strada da seguire, a partire da una parola chiave: omicidio. Il “caso di Lilly” non è mai uscito dal radar mediatico. [[ge:kolumbus:liberoquotidiano:45131065]] Dai talk show nazionali, primo fra tutti Quarto Grado di Gianluigi Nuzzi, fino all’attenzione costante dei media locali. Oggi l’inchiesta è nelle mani della pm Ilaria Iozzi, condotta dalla polizia di Stato nel massimo riserbo. C’è un solo indagato: Sebastiano Visintin, marito di Liliana, arrotino di professione, che si è sempre dichiarato innocente. Un personaggio discusso, ma — va ricordato — senza prove sufficienti a suo carico. Eppure, nell’opinione pubblica il verdetto è tutt’altro che unanime. Alcuni familiari non hanno dubbi, a partire dal fratello Sergio, che pochi giorni fa ha ribadito davanti al tribunale: “Io penso, come ho già detto, che sia stato il marito. La Procura ha i documenti, negli atti c’è scritto tutto. Speriamo che la Procura possa dare un’accelerata, perché sono quattro anni che io non vivo, questa non è vita. Mia sorella è morta, è stata uccisa ed è provato”. Parole forti, che però si scontrano con una verità giudiziaria ancora incompleta. Intanto, al cimitero di Sant’Anna resta una foto con il nome di “Lilly”. I suoi resti sono all’obitorio di Milano, in attesa, dopo quattro anni, di una risposta. E forse sta per arrivare.
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